venerdì 12 settembre 2008

Ancora sul Caso Englaro

Trento, 18 luglio 2008

SU ELUANA

La vicenda di Eluana Englaro va affrontata con estrema delicatezza e di fronte ad essa ci si deve astenere da qualsiasi giudizio, mostrando vicinanza concreta ai soggetti coinvolti ed ai loro cari, non disgiunta dalla preghiera. Alcune riflessioni sul dibattito in corso.

1) Eluana è una persona viva. Nel dicembre 2006, la Corte d’Appello di Milano aveva stabilito che “ in base alla vigente normativa Eluana è viva…”. Questo punto non è stato impugnato. La stessa Cassazione, nell’ottobre 2007, ha scritto che Eluana è una persona, eguale a qualsiasi altra. Lo ha fatto con espressioni splendide, anche se poi contraddette dalle conclusioni della decisione.

2) Eluana non è morente. Lo prova la definizione di “stato vegetativo permanente”: durevole per il tempo in cui durerà la menomazione.

3) Non è in corso un accanimento terapeutico. La Cassazione ha stabilito che la somministrazione di cibo e di bevande per via naso gastrica non è accanimento terapeutico.

La rimozione del sondino farà morire Eluana di fame e di sete.

4) Confronto con casi simili.

Chi salva una persona che sta cercando di suicidarsi, non commette “violenza privata”. Anzi riceve giustamente pubblici riconoscimenti. Non c’è quindi un diritto di autodeterminazione riguardo alla vita e alla morte, come è riconosciuto del resto, dalla Cassazione.

A chi potrebbe obiettare che, nell’esempio proposto, non c’è un problema di cura e di consenso informato del paziente, offro un altro esempio: se l’aspirante suicida, prima di ingoiare la sostanza letale, lasciasse un messaggio in cui dicesse: “Se qualcuno mi trovasse ancora in vita, ma privo di coscienza, dispongo che non mi si curi”; che dovrà fare il medico accorso che trova l’uomo in coma e quel suo messaggio? Dovrebbe forse lasciar morire la persona in questione? Ma allora dove sta il rispetto dell’autodeterminazione, che in questo caso riguarderebbe anche le cure?

Il vero giudizio, allora, che potrebbe condurre la ragazza a morte, riguarderebbe il valore della sua vita, non il rispetto della sua (presunta) volontà. Difatti, il decreto della Corte d’Appello sottolinea, a proposito di Eluana, “il venir meno dell’essenza umana” ed il carattere di “esseri umani pienamente vegetativi” di coloro per i quali non sarà più possibile un’attività psichica. Ciò, peraltro, contrasta con l’affermazione della Cassazione (16/10/2007) per la quale “Chi versa in stato vegetativo è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita”.

5) L’articolo 32 della Costituzione. La Corte d’Appello scarica sul genitore-tutore la responsabilità di decidere la morte di Eluana. La radice di ciò sta in un’errata interpretazione dell’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per obbligo della legge”). Si deve infatti armonizzare il diritto alla salute con il diritto a non essere sottoposti a trattamenti disumani o degradanti (art. 5 Dichiarazione Universale Diritti dell’Uomo). Ma dare da mangiare e da bere, senza che sia necessario usare violenza, è un trattamento sanitario disumano o degradante o è invece l’espressione del più elementare atteggiamento di solidarietà umana?

6) La volontà (presunta) di Eluana. Si dice che Eluana avesse manifestato – in circostanze ovviamente precedenti all’incidente che l’ha immobilizzata – la considerazione che, qualora si fosse trovata in situazione analoga a quella in cui oggi versa, avrebbe preferito interrompere i trattamenti che la tenevano in vita. Che da frasi pronunciate in occasioni diverse, per di più estrapolate dal contesto in cui furono declamate, possa desumersi una volontà attuale di Eluana in ordine all’interruzione dell’alimentazione, mi pare francamente troppo. Perché non può essere un dubbio legittimo che un soggetto, al mutare delle proprie condizioni, muti pure il parere manifestato un tempo (corollario pure questo della libertà individuale che fonda l’autodeterminazione)? Basta entrare in ospedale e vedere come molti si riattaccano alla vita, pur contro ogni speranza, in condizione deplorate poche ore prima. Perché ci si dimentica, in questi casi vitali, del c.d. principio di precauzione?

7) Il principio d’eguaglianza e la dignità umana. Tutte le persone sono eguali in dignità e questa è inerente all’essere umano, non è una qualità che si aggiunge all’esistenza, nel senso che può esserci o meno. Il diritto alla vita è la prima ineliminabile espressione della dignità umana. Ogni vita vale allo stesso modo, quale che sia la condizione in cui si trova. La dignità umana non dipende da ciò che pensa qualcuno, fosse anche la stessa persona titolare del diritto alla vita. Per cui, il più grave errore compiuto nella vicenda giudiziaria di Eluana è stato portare l’indagine decisiva su ciò che la ragazza pensava della dignità umana. In tal modo la dignità diventa un dato variabile e soggettivo.

Così si rischia di minare le fondamenta di una civiltà, a scapito dei più deboli.

Pino Morandini

Nessun commento: