lunedì 26 maggio 2008

IL PERCHE’ DELL’OSTRUZIONISMO IN CONSIGLIO REGIONALE SUL C.D. PACCHETTO FAMIGLIA

IL PERCHE’ DELL’OSTRUZIONISMO IN CONSIGLIO REGIONALE

SUL C.D. PACCHETTO FAMIGLIA

Poiché il mio atteggiamento ostruzionistico è stato dipinto come fine a se stesso per rallentare i lavori consiliari, faccio presente che poiché non sono uso ricorrere a questi metodi, le ragioni dell’ostruzionismo erano sostanziali e si riannodano ai motivi che esporrò di seguito. Non è vero, infatti, che il nuovo “c.d. Pacchetto Famiglia” sia così positivo come si vuole dipingere. Anzi ai vari interventi danneggia fasce deboli della popolazione che dice di voler aiutare.

  1. In primo luogo perché l’estensione fin al primo figlio dell’assegno al nucleo familiare – recepita come impegno nella l.p. 13/2007 a seguito di un mio disegno di legge – non è stata però estesa, come costantemente avevo chiesto, anche ai figli nati negli anni 2005, 2006 e 2007. In quegli anni, i primi figli non sono stati per nulla considerati dalla Regione, non ricevendo le relative famiglie alcun contributo, diversamente da quanto accadeva (attraverso gli assegni di natalità e di cura) con l’originario Pacchetto Famiglia, che Dellai e C. hanno voluto cancellare. In tal modo danneggiando molte famiglie, spesso le più fragili, quali quelle con un solo genitore, che quasi sempre non hanno più di un figlio. L’ostruzionismo mirava, in primo luogo, ad estendere l’intervento finanziario per i primi figli a partire dagli anni rimasti scoperti a causa del nuovo “c.d. Pacchetto Famiglia” (2005, 2006, 2007).

  1. L’Assessore ha replicato affermando che non ci sarebbe la relativa copertura finanziaria. Cosa destituita di fondamento, se si pensa che i 30 milioni di euro stanziati dal 2005 ad oggi con l.r. 1/2005 non sono stati quasi per nulla utilizzati – e quindi sono finiti “in economia”!! – perché parecchi degli interventi caparbiamente voluti da questa maggioranza, a partire da quello per i lavoratori atipici, non hanno incontrato il favore dei cittadini. Si potevano quindi indirizzare almeno una parte dei circa 120 milioni di euro non utilizzati in questi 4 anni, per estendere fin dal primo figlio delle provvidenze finanziarie, specie pensando al costo sempre più alto della vita. A queste proposte la Giunta si è mostrata totalmente sorda, nonostante la battaglia intrapresa.

  1. In aggiunta a quanto sopra espresso, altri interventi del c.d. nuovo “Pacchetto Famiglia” di fatto si appalesano a danno di fasce deboli che si afferma invece di favorire.

    Così è per la c.d. integrazione al minimo della pensione: si è tolta l’integrazione al minimo derivante dallo Stato, con i relativi aumenti, e si è inventata un’integrazione al minimo regionale più bassa, penalizzando in tal modo le iscritte alla pensione casalinghe e colpendo ulteriormente la relativa legge.

    Così, nel prevedere l’importo complessivo mensile dell’assegno per livello di condizione economica del nucleo familiare, si sono fortemente penalizzate le famiglie con un solo genitore!

    Analogamente, l’aiuto alla contribuzione volontaria per l’assistenza ai figli non autosufficienti è stata limitata ai figli minori di 5 anni!

    E gli altri?

  1. Perché, invece, non si attuano concretamente interventi previsti da anni in legge, come, ad esempio, quello a favore di chi assiste in casa familiari non autosufficienti, interventi che in provincia di Trento non si è voluto far decollare?

    Perché si concede il sostegno alla contribuzione volontaria solo al genitore che, lavorando a tempo parziale, accudisce al proprio figlio il restante periodo della giornata, e non anche al genitore che ha scelto di dedicarsi ai figli l’intera giornata, rinunciando al lavoro fuori casa?

    Sono alcune delle ragioni e delle domande che hanno motivato il mio ostruzionismo al c.d. nuovo “Pacchetto Famiglia”, determinando il mio voto finale di astensione.




Cons. Pino Morandini

venerdì 16 maggio 2008

A proposito di redditi on-line

Trento, 8 maggio 2008

Il can – can creatosi attorno alla pubblicazione, poi al ritiro, poi alla bagarre, poi a non si sa che legato alla diffusione on line dei redditi, mi lascia non poco perplesso. E non certo in quanto parte in causa: la pubblicazione delle dichiarazioni reddituali dei politici è stabilita in via legislativa per la nostra Regione, e dunque sotto questo profilo, mi sento d'avere già dato. Mi lascia perplesso per altre, ben più profonde, ragioni.

Una prima, marginale, rimanda ad un dato quasi (drammaticamente) folcloristico, ormai connaturato, alla vita pubblica italiana: le amministrazioni litigano tra loro, si sfidano a colpi di provvedimenti, di atti autoritativi e, dandosele di santa ragione, non solo si coprono di ridicolo, bensì mettono pure il cittadino in condizione di non sapere più che diavolo fare. Protagonisti dell'ultima tenzone, il garante per la privacy ed il sempre originalissimo viceministro Visco, cui la passione per tasse e gabelle gioca talvolta pessimi scherzi.

A parte questa nota di costume, trovo che la lista di proscrizione dei contribuenti via internet, sia una trovata di pessimo gusto. Eppure essa tradisce pur tuttavia un'anima preponderante dell'ormai defunto Prodibis:il disprezzo verso il contribuente, specie se dotato di un reddito medio- alto, la sua qualificazione più o meno come pollo da spennare e da lasciare al pubblico dileggio.

L'ultimo esecutivo s'è trascinato, fra l’altro, nella concezione grottesca tratta dall'interpretazione più falsa e pauperista delle dottrine marxiane secondo cui il reddito è qualcosa da dissanguare a fondo, per finanziare uno stato infallibile, pronto a prendersi cura, lui, e soltanto lui, d'ogni bisogno dei cittadini.

Odiavano a tal punto il reddito da ridurlo incredibilmente, tanto da impoverire la gran parte degli italiani!!

Ma non solo. Per completare questo loro disegno, ecco l'ultimo colpo di coda: far leva sul malsano voyeurismo che alligna in molti di noi e sbeffeggiare il frutto del lavoro di molti dinanzi all'intero universo telematico, dando origine a scambi e mercanteggi di notizie via web!!

Se questo è un modo per perseguire la “pace sociale”, siamo a posto. Tra l'altro, ciò ha pure una portata truffaldina: come se facessero il gioco delle tre carte, scaricano sui c.d. “ricchi” il malcontento sociale per l'impoverimento galoppante della popolazione, stornandolo da essi, che di certo in questi due anni al governo, nulla han fatto per alleviare.

Si potrebbe continuare ancora... facendosi alfieri di coloro che vedono bistrattato il proprio lavoro, che si sentono dare dai fannulloni, visto il basso grado che occupano nella classifica dei redditi. Oppure si potrebbe lamentare il fatto che, seppur Grillo, forse per motivi personali, abbia trovato una critica abbastanza cervellotica e poco plausibile alla proscrizione - ossia il fatto che essa darebbe una sorta di “vademecum” alla criminalità organizzata - qualche cosa di vero, nella sua affermazione, si può cogliere. Che dia un input all'aumentare dei reati contro il patrimonio, non si può infatti escludere. Non certo da parte delle varie mafie, però, che non hanno certo bisogno di questo. Ma da parte della microcriminalità, forse sì.

Decisiva appare comunque la pronuncia del Garante della privacy del 6 maggio che, respingendo le argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate, dichiara illegittima la pubblicazione via Internet dei dati sui redditi e sulle tasse pagate: non solo perché contrasta con la normativa vigente (art. 69 D.P.R. 600/1973 e art. 66 bis D.P.R. 633/1972); non solo perché il codice dell’amministrazione digitale, se è vero che incentiva l’uso dell’informatica nella comunicazione dei dati della p.A., è anche vero che fa salvi i limiti fissati dalle leggi in vigore; ma pure perché la messa in circolazione dei dati in Internet appare sproporzionato in rapporto alle finalità di trasparenza.

E' vero che una (discutibile) norma legislativa, peraltro risalente nel tempo, autorizza una distribuzione dei dati reddituali comune per comune, da effettuarsi nei comuni stessi. Ma ciò è stato ben superato dalla manovra dello “sceriffo” Visco all'ultimo, triste, spettacolo. A forza di tasse, tasse, tasse e nient'altro che tasse, ci ha proprio...tartassato!!!

Pino Morandini

Riflessioni sulle nuove linee guida in materia di Procreazione Medicalmente Assistita

“Mamma, la Turco!

Il Governo Prodi fra pochi giorni verrà soppiantato dal nuovo esecutivo uscito dalle urne. In teoria tutti i suoi componenti dovrebbero limitarsi all’ordinaria amministrazione.

Appunto, in teoria.

In pratica, fra la nomina di centinaia di dirigenti delle più disparate (o disperate??) amministrazioni, ed altre amenità, l’attività del Governo in prorogatio ferve come non mai. Non v'è differenza nemmeno per ciò che concerne il merito, rispetto ai due anni trascorsi a Palazzo Chigi.

Fra di essi spicca, come spesso capita, la Ministra Turco, che, per l’occasione, comprende nel cilindro degli atti di “ordinaria amministrazione” la revisione delle linee guida per l’applicazione della l. 40/04 (“Norme in Materia di Fecondazione Medicalmente Assistita”).

Ordinaria amministrazione? Complimenti!!!!

Si sa che il Ministro mal digerì lo schianto che il popolo italiano inflisse alle sue idee con la consultazione referendaria del giungo 2005. Ed allora, prova a “cambiare la legge” per vie traverse, mutandone le direttrici applicative. Siccome poi va di moda, specie a sinistra, appellarsi in ogni dove alla “legalità”, pure lei, brandendo questa mannaia, fa un po’ quel che le pare.

Violando non solo la legge, ma pure la Costituzione, che emerge un bel po’ malmenata da un Governo che, ormai privo di quella fiducia parlamentare che costituisce, nella forma di governo della Repubblica Italiana, l’unica fonte di legittimazione del potere esecutivo, si comporta de facto come se nulla fosse.

Il tutto, ovviamente, in sordina.

La Turco afferma infatti di perseguire “la piena e corretta applicazione della legge 40”.

Bene. La vox legis s'è pronunciata, verrebbe da dire. Ma non è così, tutt'altro!! Il Ministro s'è arrogato il diritto di vulnerare le prerogative del Parlamento emettendo un atto in netto contrasto con la norma primaria che dice di voler applicare. In sostanza, è un'iniziativa in forte odore d'illegittimità. In quale modo?

Innanzitutto rimuovendo il divieto di diagnosi pre – impianto, in palese violazione della legge 40 appunto, che ha posto quel divieto per evitare il sacrificio di numerosi esseri umani. Poi, estendendo la “sterilità di fatto” rispetto alla previsione di legge.

Inoltre, usando a pretesto delle pronunce giurisprudenziali quantomeno di dubbia razionalità ed osservanza alla legge (tra l’altro di giudici di merito e di grado inferiore, manco della Suprema Corte, del Consiglio di Stato o della Consulta), stravolge il chiaro intento della legge. Perché, anziché puntare sui progressi scientifici che mirano ad attuare una ricerca diagnostica sugli ovociti, consente che tale attività assuma ad oggetto uno dei soggetti coinvolti nel processo fecondativo, l’embrione, mettendone a repentaglio la sopravvivenza. Ma ciò, oltre ad essere in contrasto con la legge, non è di aiuto alle coppie che desiderano avere un figlio.

Il tutto ha il sapore di una forte deriva eugenetica.

Francamente, non capisco quest’irrazionale corsa all’idolatria di qualcosa che, in sé, non è altro che una tecnica. Anche quella degli esperimenti nazisti era tecnica scientifica, eppure è stata condannata dalla storia!

Insomma, Nihil novi sub soli…

Certo, nel diktat Turco è apprezzabile l’intento di rafforzare il sostegno psicologico alle coppie infertili. Ma perché macchiare ogni provvedimento con lo spirito utilitaristico che spinge alla sopraffazione del più debole?

La speranza è che il nuovo ministro della Salute levi di mezzo quest’illegittimo provvedimento ministeriale ripristinando la “legalità”.

Certo, la legalità.

Se ne parla troppo, come se pure essa avesse un che di sacrale. Certo, la cultura del positivismo illuminista che ancor oggi ristagna non può che sospingere in tale direzione. Ma, mi si permettano due brevi notazioni.

Innanzitutto non credo che il mero ossequio formale alle leggi sia, di per sé, un valore. Per una concezione di Stato totalitario ed infallibile, di certo sì: esso richiede un'obbedienza totale da parte dei cittadini, per il fatto che gli apparati pubblici detengono il potere, non perché l'esercizio del potere in sé sia giustificato di volta in volta da un che di razionale.

Ma è la notte della ragione. Con conseguenze aberranti. Infatti, non si vedrebbe perché, divinizzata in tal modo la funzione legislativa, si dovrebbe biasimare chi obbedì, che ne so, alle famigerate “leggi razziali”. Non vi è alcun criterio per giudicare nel merito le norme, seguendo tale impostazione.

In secondo luogo, pur volendo aderire al pensiero degli adoratori della legge scritta, resterebbe pur sempre una comica contraddizione nel pensiero espresso proprio in questi giorni sul sito della “Luca Coscioni”. Vi si legge infatti: “con queste linee guida, Livia L'Amazzone non ha fatto altro che ristabilire la legalità”.

In effetti, per i radicali e chi come loro, la “legalità” è, talvolta, il pedissequo ossequio alle leggi (in realtà solo alle disposizioni che a loro aggradano di più...); altre volte invece il travisarle completamente. Per cui la “legalità” non è altro che un vestitino un pochino lacero con cui contrabbandare ciò che essi pensano e vogliono!

Comunque, dando uno sguardo al dibattito rinfocolato dall'atto di dubbia legittimità della Turco, si nota che molti hanno preso le distanze da questa sua boutade. Altri, compiacendola e capendo che esso null'altro è che un mesto canto del cigno, la snobbano in silenzio. Qualche allegro e presumibilmente inconsapevole eugeneta invece la appoggia.

Per quanto mi riguarda, dissento profondamente, come si sarà capito, dall'ennesima scappatella veteroabortista, dall'ennesima “ministra riscaldata”.

Pino Morandini

Casalinghe: Il Lavoro Dimenticato. Anche il I° Maggio

Trento, 30 aprile 2008

“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recita l’art. 1 della Carta Costituzionale. Preferirei di gran lunga che l’incipit della Carta Fondamentale della repubblica italiana declamasse “L’Italia è un Repubblica fondata sul rispetto e la salvaguardia della persona umana e della sua dignità…”.

Ma tant’è.

Forse senza ipocrisie, giacché spesso i diritti degli esseri umani sono calpestati, pure sullo stivale. Allora, “accontentiamoci” di quel preambolo un po’ ferrigno, che rimanda alle catene di montaggio. Almeno, proviamo a leggerlo in positivo, intendendo cioè che il lavoro è visto come non soltanto un diritto/dovere di ogni uomo (ed in tempi d’imperante e selvaggio precariato sarebbe già gran cosa!!!), bensì anche che dall’esercizio d’una legittima attività lavorativa consegue un giudizio d’approvazione da parte della collettività organizzata.

In ossequio a tale concezione, in occasione della “festa del lavoro” del primo maggio, si assegnano le “stelle del lavoro”, premiando figure che particolarmente si sono distinte, per i motivi più svariati, in una vita di fatiche, profuse in tutti i settori della vita professionale.

In tutti? No, sbagliato.

Purtroppo, scandalosamente, rimane priva di rappresentanza la categoria che numericamente supera di gran lunga ogni altra, che silenziosamente si sfianca per compiere la propria attività, spesso nel silenzio. E ne rimane esclusa senza motivo. Certo, non ci sono agguerritissime rappresentanze sindacali pronte a difenderne i diritti. Ma non si tratta solo di questo. Più probabilmente, è un fatto “culturale”, una mentalità influenzata forse dall’aria modernista della rivoluzione industriale che ritiene rilevante solo un lavoro immediatamente spendibile nell’ottica del mercato.

Il lavoro casalingo: - è di ciò che sto parlando - invece non se lo fila nessuno. Nemmeno le “stelle del lavoro” paiono degnarlo d’una qualche considerazione. E, francamente, lo trovo scandaloso.

A comporre l’universo di questo mondo “sommerso” sono miliardi di donne (ma non solo), che svolgono un’attività non remunerata (accanto magari ad un altro lavoro, certo meno negletto), che non conosce orari, che, al posto del potere direttivo del datore di lavoro ha i ritmi della vita. Lavoro che non finisce mai, e spesso, pure dagli stessi componenti il nucleo familiare è guardato con supponenza e manco ritenuto degno di un semplice “grazie”. Non ha tutela previdenziale né ferie, nulla.

Certo, qualcosa parrebbe lentamente cambiare: leggi in materia previdenziale iniziano ad affrontare il fenomeno, seppur tangenzialmente. Il mio “Pacchetto Famiglia” poi tentava di dare un aiuto concreto a queste situazioni, prima che la Giunta Dellai lo cancellasse. Il codice civile addirittura parifica il lavoro casalingo prestato da uno dei coniugi a quello prestato “professionalmente” (art.148), come fattore di contribuzione al c.d. “regime patrimoniale primario” dell’organizzazione familiare.

Ma non basta.

Assolutamente, non basta per chi spende un’intera vita, dal fiore degli anni alla vecchiaia per sostenere i propri cari all’interno delle mura domestiche e non solo.

Sarebbe stata proprio per questo motivo una splendida occasione, il primo maggio, per dare un segnale di inversione di tendenza anche culturale. Premiare, accanto agli altri rappresentanti delle categorie professionali (cui va peraltro tutto il mio apprezzamento e la mia stima), che ne so, una casalinga, magari madre addirittura di molti figli, sarebbe stato davvero un segno di reale progresso nella percezione della reale, pulsante, vita sociale. Che attraverso questa figura si fosse tentato di riconoscere, in un modo che certamente mai sarà sufficiente, il silenzioso ma essenziale operare di queste lavoratrici e lavoratori all’interno della società sarebbe stato un segno. che, almeno qui, non si deve sempre cedere agli imperativi del mercato.

Cons. Pino Morandini

Il Regolamento Asili-Nido a Rovereto è davvero dalla parte dei Bambini?

Trento, 18 aprile 2008

REGOLAMENTO ASILI – NIDO A ROVERETO:

METTIAMO DAVVERO AL CENTRO IL BAMBINO.

Sono passati quasi sessant’anni dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo e dell’adolescente e si assiste ancora a posizioni o a determinazioni di assemblee elettive che, nell’affrontare la fondamentale questione educativa (a ragione definita “valore non negoziabile”) danno segnali quantomeno contraddittori, se non di grande disattenzione alla grandiosità della posta in gioco; il bimbo e la sua crescita integrale.

E’ notorio come il periodo 0 – 3 anni sia assolutamente determinante per la formazione della personalità del bambino. Eppure sovente le istituzioni se ne dimenticano.

Così ha fatto il Consiglio provinciale, bocciando un disegno di legge che, accanto all’incentivazione degli asili – nido, proponeva un servizio aggiuntivo di tipo familiare, particolarmente vicino alle esigenze del bambino e soprattutto alla sua crescita umana e psicologica.

Così sembra fare oggi l’Amministrazione roveretana, edittando un regolamento che pare più ispirato da logiche di risparmio che da un reale interesse educativo per quella delicatissima fascia di età che interessa la primissima infanzia.

Assegnare infatti un ruolo meramente consultivo al “Comitato di partecipazione” significava relegare i genitori – che, si badi, sono i primi titolari del diritto-dovere di educare i propri figli e nessuna istituzione, nemmeno la più alta, li può espropriare di tale fondamentale diritto – al rango di spettatori praticamente passivi di scelte che li riguardano direttamente, perché aventi come destinatari i loro figli.

Ma vi è di più. L’aumento (a 9) del numero dei bambini per ciascuna insegnante (si parla della fascia 18 mesi – 3 anni) è una scelta che si commenta da sola per la sua negatività.

E’ negativa innanzitutto per i bambini, ciascuno dei quali ha non solo bisogno il più possibile di una figura di riferimento unitaria, ma pure di un’insegnante che possa essere per lui, esaustivamente e soprattutto senza l’assillo generato dalla numerosità dei suoi pargoli, una presenza educativa e serena.

Ed è negativa per le insegnanti che ben sanno come, a fronte di un numero così alto di bambini, sia fortemente compromessa proprio la preziosità del delicato lavoro educativo che loro compete.

La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: un danno rilevante sulla crescita del bimbo, sulla didattica, sull’assistenza interna, ecc. Con il rischio del profilarsi di un “parcheggio” per bimbi.

Mi permetto di insistere fortemente affinché venga almeno mantenuto l’attuale rapporto numerico: 8 bimbi per insegnante, che mi pare arrivino fino a 15 nei casi di compresenza.

Molti obietteranno le difficoltà finanziarie che si frappongono a questo mio suggerimento.

Faccio notare che le risorse ci sono alla luce di un semplice dato di fatto, suscettibile di generare una proposta.

Il MART annota ogni anno un passivo di 9 milioni di euro, che viene sistematicamente ripianato dalla Provincia. Non solo: recentemente è stata perfino organizzata una sua mostra ad Hanoi (!), le cui spese, non certo di poca entità, sono ancora una volta ricadute sulle casse della Provincia, cioè su quelle di tutti i trentini.

Se si aggiunge che i visitatori del MART sono in calo e che appare sempre di più una struttura slegata rispetto alla sua città, ci sono tutti i motivi per ridimensionarla ed investire meglio le pubbliche finanze. Il primo modo è quello di dare un forte segnale della priorità del servizio educativo ai bambini 0 – 3 anni della seconda città del Trentino.


Incontro UDC a Rovereto

Trento, 16 aprile 2008

Colgo l'occasione per annotare anche pubblicamente il tono alto e costruttivo con cui alcuni amici roveretani, in particolare Patrizia Andreatta e Michele Trentini, hanno inteso organizzare la serata conclusiva della campagna elettorale dell’U.D.C. in quel di Rovereto.

Si è infatti trattato di un incontro che, in termini costruttivi e senza demonizzare gli avversari, ha affrontato approfonditamente i grandi temi della famiglia, a partire dalle sue difficoltà; della bioetica; della sicurezza; dell’economia; della responsabilità privata e pubblica; della libertà, ecc.

Del resto, lo spessore culturale ed etico dell’introduzione aveva già contribuito a delineare chiaramente le coordinate entro cui l’incontro avrebbe dovuto articolarsi; ed analogamente, le conclusioni hanno sintetizzato i temi forti della serata, chiudendo con una citazione tratta dal diritto romano eppure di stringente attualità.

Chi vi ha preso parte ha assistito ad un confronto di idee e di proposte che hanno spaziato a 360 gradi, prospettando i vari problemi che affliggono la comunità nei suoi diversi settori, proponendo adeguate risposte ed innestandole tutte dentro un organico collante di valori di fondo, senza il quale ogni proposta di soluzione rischia inesorabilmente di essere di corto respiro e soprattutto non efficace, specie nel lungo periodo.

Agli organizzatori esprimo sincera gratitudine e convinto incoraggiamento a proseguire in questo prezioso lavoro politico – culturale.

Pino Morandini

Basta con la gestione faziosa dell'UDC

Basta con questa gestione faziosa dell’ UDC

Alle incredibili dichiarazioni del segretario provinciale dell’UDC, Paolo Dalrì, si rappresenta quanto segue:

1. è urgente l’approvazione della lista per le elezioni provinciali e ciò è condiviso da molti, a partire proprio dai candidati al Senato nelle recenti elezioni politiche, Cristina Trentini, Giuseppe Frattin e Pino Stefenelli. E ciò per le evidenti ragioni di trasparenza e soprattutto per mettere in grado da subito tutti i candidati di farsi conoscere e di operare sul territorio, se si pensa che, considerato l’ormai prossimo periodo estivo, le elezioni provinciali sono vicine;

2. l’autocandidatura di Carli alla Presidenza della Provincia non è mai stata decisa dall’UDC e sta spaccando sia l’UDC stessa che il centrodestra, tantopiù se si considera che su quell’autocandidatura si erano espressi in modo contrario, comunicandolo all’interessato ancor prima della sua ufficializzazione, tutte le forze di opposizione (eccetto il cons. Andreotti) ed una consistente parte dell’UDC provinciale;

3. va integrato il Comitato provinciale del Partito, surrogando i due membri dimissionari ormai da mesi;

4. va integrata la Direzione Provinciale dell’UDC, sostituendone un componente dimessosi qualche mese fa.

Per queste ragioni è urgente convocare il Comitato Provinciale del Partito entro quindici giorni e definire la lista entro venti giorni.

È ora di finirla con una gestione faziosa del Partito, che si dimostra sordo alle proposte della metà dello stesso, che fa riferimento al Cons. Pino Morandini.


La Conversione di Magdi Allam

Trento, 9 aprile 2008

“Sulla conversione di MAGDI ALLAM”

Non si fa che blaterare di continuo, spesso senza ritegno, della conversione di Magdi Allam. Si accusa la Chiesa di fare politica, Allam di far crociate, di voler strumentalizzare un "fatto personale". Quasi quasi ci si spinge sino ad accusarlo di aver escogitato una trovata "pubblicitaria". E via così, che tanto ormai la sciatta dietrologia pare esser divenuta lo sport nazionale...

Non sono così sicuro che, almeno a spulciare la Bibbia, il battesimo, la conversione siano da considerarsi fatti “meramente privati”. Anzi, ne dubito fortemente. Non sono forse quei dodici apostoli che, ricevuto lo Spirito, la conversione del cuore, iniziano a predicare per le strade, a girare tutto il mondo allora conosciuto mettendolo sottosopra, mentre fino al giorno precedente erano asserragliati nel cenacolo a farsela sotto?!? Tanto che il loro sangue fu dato al martirio proprio perchè disubbidirono al divieto di gridare la loro fede, divieto loro imposto dal potere di turno. Ed è preoccupante l'analogia con l'attuale situazione...

Ma per essi era talmente impetuosa la forza della fede da loro ricevuta, che non la potevano contenere. Anzi, una volta ricevuta la grazia, non è lo stesso Cristo ad invitarli ad andare ad annunciare a tutto il mondo la “Buona Notizia”? Non si festeggia forse per le conversioni ed il Battesimo, da sempre? Forse, più che Magdi ed il Papa, dovrebbero essere certi ambienti sedicenti cattolici a smetterla di occuparsi solamente delle “cose di Cesare”, ossia del “mondo”, preferendovi, che ne so, gli insegnamenti di quel falegname ebreo condannato a morte in Giudea duemila anni orsono e morto per ciascuno di noi. Senza preferirvi la professione del politicamente corretto che nulla ha da spartire con le vicende evangeliche.

La vicenda mostra il livello di depressione delle libertà fondamentali cui è affetta questa nostra post-modernità: in nome della libertà religiosa di qualcuno, siano essi radicali, terroristi o encomiabili asceti, si è sancita la costrizione a non essere cristiani! Che vi fosse la libertà di non esserlo, è cosa sacrosanta. Ma, per non contraddirsi bisognerebbe affermare che v'è la libertà pure di esserlo, cristiani. Altrimenti, la libertà religiosa si mostra discriminante, e non è più nulla di ciò che si proclama essere.

Con il voler rinunciare a qualsivoglia indagine sul merito delle questioni, abbandonata l'ansia di verità, ogni dichiarazione è buona, a prescindere da qualsiasi confronto, che, ovviamente, si rifugge (il dialogo è fonte di Verità insegnava già la cultura classica). Ed allora, finisce per prevalere non già la posizione più umanistica e razionale, bensì quella che strilla di più. In poche parole, la legge del più forte.

La gara a chi strilla di più è in pieno svolgimento. E Magdi Allam non è che una delle ultime vittime di quella che Benedetto XVI ha definito la dittatura del relativismo.

Pino Morandini

A 3 ANNI DALLA SCOMPARSA DI GIOVANNI PAOLO II

A 3 ANNI DALLA SCOMPARSA DI GIOVANNI PAOLO II

Da tre anni Giovanni Paolo II ha concluso la sua vita terrena, eppure appare sempre più nitido il senso della trama che ha intessuto la sua vita ed ha cambiato la storia.

Fin dalla sua elevazione al soglio pontificio, non si è rassegnato ad un clima culturale che voleva il cristianesimo prossimo alla fine o comunque relegato nel privato. Ha cercato i luoghi in cui il cristianesimo era vivo, ha rivitalizzato quelli in cui esso annaspava, ha valorizzato un cristianesimo di popolo.

Attraverso un intenso Magistero ispirato a temi della vita umana, della famiglia, della libertà religiosa, della pace, della povertà, dell’autodeterminazione dei popoli ha svolto un ruolo decisivo per la caduta del Muro di Berlino e per la riproposizione culturale e legislativa della dignità di ogni essere umano fin dal suo concepimento. Sottolineando come a partire da quella dignità era possibile costruire una reale unità.

E’ significativo constatare come nell’ultimo intervento ufficiale della Sua vita, tenuto il 10 gennaio 2005 all’intero Corpo diplomatico mondiale, avesse indicato al mondo (una sorta di testamento spirituale) le quattro grandi ed urgenti sfide del pianeta: quella della vita, quella della povertà, quella della pace e quella della libertà religiosa. “Ma la prima sfida – conclusa – è la sfida della vita”, attirandosi anche qualche critica. Gli avvenimenti stanno dimostrando la caratura profetica di Wojtyla e l’attualità del suo pensiero.

Il tutto caratterizzato spesso da una condivisione “trasversale” proveniente non solo dai cattolici, ma pure da molti non credenti affascinati dal suo straordinario amore per ogni uomo, sull’esempio di Cristo, e dalla singolare sua capacità di parlargli al cuore.

“Santo subito” non è quindi uno slogan, ma l’esito naturale di tutto ciò.

Pino Morandini

La Casa di Riposo della Valle di Cembra

Trento, 25 marzo 2008

Sento il dovere di intervenire, avendo deciso, in qualità di assessore competente, di finanziare la costruzione della Casa di Riposo della Valle di Cembra, corrispondendo positivamente alla giusta richiesta degli amministratori locali del tempo.

Per questo, assistere in questi giorni a polemiche incrociate sul tema, mi amareggia e soprattutto temo non contribuisca ad accelerare l’apertura e la messa in funzione della struttura in parola.

I protagonisti delle anzidette polemiche sono persone degne, amministratori in carica od ex amministratori di Comuni ubicati in quella valle, uniti tutti quanti – ne sono certo – dall’intento di fornire agli anziani ed alle persone non autosufficienti un sicuro punto di riferimento assistenziale e di accoglienza.

Proprio da qui vorrei prendere le mosse per un appello a tutti loro e a quanti hanno a cuore che quel punto di riferimento diventi quanto prima concreto ed operativo.

Da decenni la Valle di Cembra attendeva, giustamente, che venisse allocata sulla sua terra una Casa di Riposo, considerato che i suoi anziani bisognosi di ricovero in siffatta struttura erano costretti ad “emigrare” presso Case di Riposo di altre zone del Trentino. Con il conseguente allontanamento dalla propria comunità ed il disagio per i familiari ed i conoscenti nel far loro visita e nel fornire assistenza e compagnia.

Ora quell’attesa non solo è stata soddisfatta, ma può essere quanto prima realtà operativa. Poco importa, a questo punto, se sia collocata in questo o quel Comune, decisione peraltro che spetta ed è sempre spettata ai Comuni e alle comunità della valle. Interessa invece che divenga al più presto operativa. Lo attendono i molti anziani ospitati in varie R.S.A. del Trentino; lo attendono i loro familiari; lo attendono altri potenziali ospiti in lista d’attesa.

Gli amministratori locali di ieri e di oggi si mettano attorno ad un tavolo e, nel confronto fra le varie motivazioni, trovino al più presto un punto di convergenza anteponendo alle pur legittime ragioni la prioritaria necessità che la R.S.A. della Valle di Cembra diventi operativa il più presto possibile.

Con l’occasione ripropongo quanto ebbi già a formulare a suo tempo: che la suddetta Casa di Riposo sia intitolata a Giuliano Dallaporta, amministratore della valle prematuramente scomparso e da sempre convinto sostenitore dell’opera.

Pino Morandini

A PROPOSITO DELLE STIMMATE DI P. PIO

A PROPOSITO DELLE STIMMATE DI P. PIO

Risposta all’avv. Sandro Canestrini

“C’è abbastanza luce per chi vuol vedere…” ammoniva Pascal a proposito di Dio e dei Suoi santi, e quindi della fede. E’ quanto m’è rimbalzato alla mente notando lo scritto dell’avv. Sandro Canestrini, che ripropone quantomeno il dubbio (ma anche qualcosa di più) relativamente alla realtà delle stimmate di padre Pio.

Stiamo parlando di un santo venerato da milioni di persone in tutto il mondo, con una miriade di miracoli alle spalle, messo in dubbio, quanto alle stimmate, da quattro grammi di acido fenico, che il giovane frate chiese ad una farmacista nel 1919.

E’, questa, una vecchissima testimonianza, ben nota ed esaminata a fondo da quanti lavorarono al processo di beatificazione. Il documento è stampato in un fascicolo del Sant’Ufficio del marzo 1921. Per sostenere i dubbi sollevati da p. Agostino Gemelli – il quale, pur senza esaminare le piaghe (perché p. Pio si rifiutò di mostrargliele in mancanza di un ordine scritto del Vaticano), concluse che le ferite non erano soprannaturali, ma frutto di autolesionismo e isteria – l’allora Suprema Congregazione dottrinale produce la deposizione giurata della ventottenne farmacista Maria De Vito: “Io sono stata un’ammiratrice di P. Pio e l’ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, p. Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello “chauffeur” che presta servizio nell’autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo, con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l’acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, ecc. che io mandai”.

La citata testimonianza arrivò in Vaticano attraverso l’Arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, artefice della “prima persecuzione” contro il frate, del quale diceva: “Si procura le stimmate con l’acido citrico e poi le profuma con l’acqua di colonia”.

Ecco su quali basi vennero enunciate simili affermazioni. In realtà, non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico – sostanza con proprietà antisettiche, normalmente usata come disinfettante – siano stati utilizzati da p. Pio per procurarsi le ferite.

Non solo. Dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un’altra verità. Infatti, le stimmate di p. Pio furono esaminate attentamente dal prof. Festa, che il 28 ottobre 1919 redasse una relazione assai dettagliata, accertando che esse “non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna e che neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti”.

Successivamente, pure il dott. Bignami effettuò sulle mani di p. Pio un esperimento, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate.

La prova dell’infondatezza dell’accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l’acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Invece per cinquant’anni sono inspiegabilmente rimaste sanguinanti ed aperte.

Non sarebbe forse ora di lasciare in pace il santo padre Pio, almeno dopo morto?

Pino Morandini

Magistrato, Consigliere regionale

In Memoria di Chiara Lubich

Trento, 20 marzo 2008

CHIARA LUBICH,

PROFEZIA DI UN NUOVO FEMMINISMO

Ci lascia uno dei grandi personaggi che ha accompagnato anche il Movimento per la vita nella sua storia (come non pensare anche a Madre Teresa di Calcutta, a Giovanni Paolo II, a Jerome Lejeunne, ecc.?). Nei momenti più significativi di quella storia, Chiara, unitamente al “suo” Movimento dei focolari, ha lasciato, con una presenza fattiva ed una testimonianza autorevole, una traccia incancellabile e ricca di speranza.

Così, nel referendum sull’aborto del 1981 ed in quello sulla fecondazione artificiale del 2005; nella raccolta di firme e promozione della proposta di iniziativa popolare sulla vita nascente (1977 – 78); nella grande manifestazione di Firenze (1986), dove Chiara e Madre Teresa di Calcutta si fecero appassionate portavoci, a partire dalla loro femminilità, di un accorato appello al Parlamento Europeo, affinché anche i diritti dei bimbi non ancora nati ottenessero adeguati riconoscimenti, promozione e protezione. A significare come il genio femminile, così ricco di sensibilità, sa indicare all’umanità la strada per un reale servizio ad ogni essere umano, proprio in un’epoca storica in cui spesso, il protagonismo femminile è ostile alla vita umana ed alla stessa dignità della donna.

A Chiara Lubich, che nel nome dell’unità ha saputo alimentare un autentico rinnovamento nelle religioni, nella Chiesa, nella società, la nostra profonda gratitudine, che si fa preghiera e lode al Signore.

Pino Morandini

Vicepresidente Movimento per la vita italiano

Sulle legnaie

SULLE LEGNAIE

La vicenda “legnaie” sta giustamente interessando diversi Comuni, tantopiù a fronte di sanzioni pecuniarie che gli stessi hanno irrogato o stanno irrogando ai privati.

Sul punto qualche preliminare osservazione si impone, salvo successivi approfondimenti.

Trattasi di materia di pertinenza comunale, attraverso il P.R.G. ed il regolamento edilizio, salvo vedere cosa disporrà il regolamento di esecuzione della nuova legge urbanistica (l. p. 1/2008). E su detta materia i Comuni godono di una certa discrezionalità di valutazione e di interpretazione dei regolamenti e dei casi pratici; discrezionalità che, si badi, non di rado sconfina nell’arbitrio.

A mio avviso si deve distinguere tra casi che non concretano abuso e casi che lo configurano; come fra casi che non richiedono l’autorizzazione e situazioni in cui questa è necessaria.

In proposito, accatastare legna su un fondo privato, assicurando una copertura ed una squadratura dell’involucro, rappresenta un manufatto non solo consentito, ma pure libero e senza necessità di autorizzazione (o D.I.A.), considerato che ne mancano i presupposti canonici (costruzione, ancoraggio al suolo, volumetria, ecc.) e posto che non c’è alcun impatto ambientale di rilievo. Non solo, ma tutto ciò in varie zone fa pure parte dell’economia montana. Tra l’altro, molte volte questi manufatti sono vere e proprie opere d’arte e non solo non sfigurano nel contesto ambientale, ma ne abbelliscono l’immagine.

La gran parte dei regolamenti edilizi comunali contempla le fattispecie in parola, trattando delle legnaie in quanto pertinenze di edifici per lo stoccaggio di legna da ardere per uso domestico. E proprio per la loro funzione pertinenziale ammettono dette legnaie anche nelle aree a verde privato, sulla scorta del principio per cui, trattandosi di disposizioni speciali, prevalgono sul principio generale di non edificabilità su dette aree. Naturalmente, purchè rivestano caratteristiche costruttive e siano caratterizzate da materiali e dimensioni in linea con la tradizione locale, e quindi non contrastino con il contesto ambientale nel quale debbono calarsi.

Altra cosa è la predisposizione di una vera e propria costruzione, ancorata al terreno. Sul punto i riferimenti normativi si rinvengono nell’articolo 105 della nuova legge urbanistica provinciale (peraltro, attualmente vale ancora la precedente, in particolare l’art. 83 l.p. 22/’91), mentre per le zone agricole vige l’art. 62 l.p. 1/2008.

Mi pare però che si tratti, in proposito, di casi non numerosi. La gran parte della popolazione interessata allo stoccaggio della legna per uso domestico, dimostra non solo attenzione al paesaggio, ma pure cura e buon gusto nella predisposizione della propria legnaia.

La presenza di qualche furbo, che comincia con la legnaia e finisce con un appartamento o altro, non può giustificare quello che si configura come un vero e proprio accanimento dei Comuni nei confronti dei censiti, spesso a suon di sanzioni pecuniarie.

Per queste ragioni, mi pare necessario che ciascun comune faccia, da un lato un’opera di miglior definizione dei casi, tenendo presente la natura del proprio territorio, la ricorrenza degli usi, ecc.; e, d’altro lato, contribuisca ad un’equilibrata tutela ambientale, per esempio suggerendo tipologie di intervento lecite e non impattanti.

Cons. Pino Morandini

l'Ambulatorio di Vigne

Trento, 13 marzo 2008

Nei giorni scorsi sulla stampa locale è apparsa la presa di posizione di sei medici di base di Arco contrari, come richiesto dal locale Circolo Ricreativo Culturale, ad usufruire per le loro prestazioni dell’ambulatorio comunale di Vigne. Il portavoce mi è sembrato che fosse stato il dottor Josef Jorg, vicesindaco di Arco e segretario per il Trentino della Federazione Italiana Medici di Famiglia. Secondo quanto scritto dai giornalisti presenti all’incontro,è stato abbinato il mio nome alla lodevole iniziativa del Circolo Ricreativo, tant’è che una testata ha tra l’altro riportato: “Sul carro della protesta è salito il consigliere provinciale U.d.c. Pino Morandini, che sul tema ha presentato un’interrogazione…”. Debbo precisare che il sottoscritto è intervenuto autonomamente su segnalazione di diversi amici e conoscenti della zona del Romarzollese, non di dirigenti di detto Circolo, al fine di sostenere nelle sedi competenti - come puntualmente avvenuto in Consiglio provinciale - per eliminare una situazione di disagio in cui versano molte persone di quella zona. La mia presenza nella sede del Circolo all’inizio della sottoscrizione era a titolo personale, quale segno tangibile della bontà di tale iniziativa. Come è mia consuetudine, ritengo mio dovere primario di cittadino e di politico sostenere in prima persona simili fatti, perché interessano direttamente la comunità, non certo per ragioni elettorali.

E’ dunque completamente autonoma, senza alcun minima influenza del sottoscritto, l’iniziativa del Circolo Ricreativo e Culturale di Romarzollo di richiedere il ritorno dei medici di base all’ambulatorio comunale presso la Casa sociale di Vigne. Essa è solo il recepimento di sacrosante esigenze della popolazione di Romarzollo. Lo confermano le oltre duemila firme dei residenti in calce ad una petizione. Essa è stata comunicata tramite lettera al sindaco di Arco Renato Veronesi ed al vicesindaco Josef Jorg, che è medico di base, e che ritiene inutile fare ambulatorio a Vigne. L’unico scopo del Circolo Ricreativo e Culturale di Romarzollo è quello di contribuire a migliorare concretamente l’assistenza sanitaria di base, molto sentita dalle diverse migliaia di residenti nel territorio arcense. Come è noto, la non operatività dell’ambulatorio comunale di Vigne (voluto qualche anno fa dall’allora comitato di partecipazione) costringe gli abitanti della zona a recarsi ad Arco per le proprie esigenze sanitarie, anche per una semplice ricetta. E ciò richiede due viaggi tra la richiesta del documento ed il ritiro. Da amministratore comunale, il vicesindaco dottor Jorg, conosce le difficoltà del recarsi ad Arco dalle tre frazioni di Romarzollo (Chiarano, Vigne e Varignano) per coloro che, e sono numerosi, non dispongono di automobile. Se poi si tratta di persone anziane, le difficoltà aumentano. L’alternativa all’automobile, come sicuramente sa il vicesindaco, non è certamente il carente servizio di autobus urbano, che costringe la gente a notevoli perdite di tempo, valutabili in ore. Non intendo per nulla fare polemica in ordine alle recenti dichiarazioni alla stampa del dottor Jorg (Segretario per il Trentino della Federazione Italiana Medici di Famiglia). Esse hanno purtroppo generato sconcerto e sorpresa, perché nella sostanza lasciavano intendere che non vi sono scelte e nemmeno si possono discutere: gli ambulatori dei medici di base sono ad Arco ed i pazienti devono adeguarsi.

E i disagi, talvolta anche pesanti, degli abitanti del Romarzollese?

Mi permetto di invitare il dr. Jorg, militante del Partito Democratico, formazione che intende fare della vicinanza ai deboli un cavallo di battaglia, a ripensare le proprie decisioni. So bene che i medici di Medicina generale non ne sono obbligati e non si è avanzata una pretesa in tal senso. Chiedo solo per le suesposte ragioni, di dare la propria disponibilità, almeno un’ora alla settimana, a fare ambulatorio a Vigne. In tal modo evitando disagi, talvolta anche gravi, per molti pazienti.

Cons. Pino Morandini

Sulla Moratoria sull'Aborto di Giuliano Ferrara

Trento, 20 febbraio 2008

La moratoria di Giuliano Ferrara sta scaldando un po’ troppo gli animi. Però, almeno, fa sì che si parli dell’argomento aborto, che non è qualcosa di isolato, una tematica come tante, ma un problema delicatissimo che se ne porta dietro molti altri. Ferrara viene da una formazione laica, ed ha espresso la sua critica sulla modalità con cui oggi, in Italia e nel mondo, si abortisce. In questo si è richiamato ad un analogo pensiero, espresso in passato da laici, come Pasolini, Bobbio, Abbagnano, Amato, e Claudio Magris, per citarne solo alcuni. Costoro hanno affermato in diverse occasioni che la sacralità della vita è un concetto prezioso, che non appartiene solo ai credenti, ma a tutta la nostra civiltà giuridica. In effetti il rispetto del fanciullo è una grande conquista della nostra civiltà, dal momento che nel passato, da Roma a Tebe, dall’India alla Grecia, l’infanticidio era considerato legittimo in molte circostanze. Anche oggi in verità infanticidio e aborto vengono utilizzati, in Cina e India, per eliminare le donne: si parla di aborto selettivo, quando va “bene”, di infanticidio selettivo, in altri casi. Fatto sta che mancano all’appello circa 100 milioni di donne tra cinesi e indiane, causa una mentalità di morte che è giusto stigmatizzare e combattere.

Chiarito questo, la posizione di Ferrara è molto semplice. Mi permetto di riassumerla: lui dice di non voler toccare la legge 194, essendo la sua posizione un po’ diversa da quella cattolica, ma solo di voler togliere all’aborto il terreno sotto i piedi. Come? Anzitutto tornando a chiamare le cose col loro nome, e cioè ridando al nascituro la sua dignità di essere umano e di figlio. Qualsiasi ecografia oggi fa vedere che il feto è un bambino, a tutti gli effetti, e che le parole embrione, feto, neonato, infante, bambino, adolescente, giovane, anziano sono espressioni diverse per indicare lo stesso essere umano. Sappiamo ugualmente che l’aborto è sempre un dramma, per la donna che lo subisce, un dramma che prende via via nomi scientifici diversi: sindrome post aborto, stress post aborto, psicosi post aborto. Un testo uscito recentemente in libreria, “Quello che resta”, riporta le testimonianze di donne che hanno abortito, e, in appendice, diversi studi di psichiatri e ginecologi sugli effetti della IVG sul fisico e nella psiche delle donne.

Se le cose stanno così, dunque, non è possibile che la società non si faccia carico del problema, aiutando le coppie anzitutto a non ricorrere all’aborto, per doversene poi pentire. Ma il problema non è solo quello dell’aborto come atto in sé. Cosa si fa in Italia, nel nostro Trentino, per aiutare le giovani coppie, tanto a farsi una casa quanto a tenere un figlio magari non “programmato”? Quali sono i sussidi economici e non solo, che vengono offerti ad una ragazza madre in difficoltà? Quali sono oggi le politiche per i giovani e per la famiglia? Perché le proposte che andavano in questa direzione sono state sistematicamente bocciate? Cosa si fa per evitare che l’accesso al mercato del lavoro per i nostri giovani sia così tardivo e quindi penalizzante? A ben vedere dibattere sull’aborto significa dunque andare a indagare su una società che rende difficile a tutti crearsi una famiglia ed accogliere un figlio. Significa discutere sulla responsabilità dei maschi, che spesso spingono le loro mogli o compagne ad un gesto estremo, sottovalutandone la portata, aiutati in questo anche dalla cultura dominante, che banalizza e minimizza la realtà dell’aborto; significa parlare di asili nido, e dei loro costi impossibili, di prevenzione e di quegli articoli sulla tutela della maternità, presenti nella 194, che non sono quasi mai stati resi operativi. Si può fare questo, senza inveire, senza urlare improperi, senza agitare fantasmi? La verità è che da trent’anni a questa parte in Italia sono diminuiti gli aborti, ma solo perché sono diminuiti i matrimoni, la fertilità, i figli in generale…Il tasso di abortività (aborti ogni 100 nati vivi) e il rapporto di abortività (aborti ogni 1000 donne), che sono le due grandezze oggettive utilizzate dai demografi, sono rimasti invariati, proprio perché per i giovani e per la famiglia non si è fatto nulla. Ed intanto la nostra società invecchia, le pensioni traballano e la sanità pure, perché mancano i giovani…Non è un’emergenza importante?

Per queste ragioni esprimo piena e convinta solidarietà all’Assessore della Provincia di Verona Maria Luisa Tezza.

dott. Pino Morandini

Consigliere regionale

del Trentino – Alto Adige

Sul Centro di Procreazione Medicalmente Assistita di Arco

Trento, 30 gennaio 2008


SUL CENTRO DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE

ASSISTITA DI ARCO



Scrivo a riguardo del lungo servizio del 31 gennaio sul reparto di procreazione medicalmente assistita di Arco.

Riguardo al servizio in questione, mi permetto di notare che l’entusiasmo, dinnanzi alle capacità della tecnica, che connota il servizio, non ha probabilmente permesso di mettere in luce una serie di motivi che spingono a guardare alle tecniche di fecondazione in vitro (Pma o Fiv) con grande prudenza. Anzitutto è noto che il ricorso a tali metodiche non è potenzialmente e statisticamente più efficace delle terapie per rimuovere la sterilità, terapie che purtroppo in pochissimi ormai portano avanti, a causa dello scarso giro di denaro che richiedono, ed a motivo dell’eccesso di fiducia nelle tecniche artificiali. Ma il problema più rilevante è che i bambini ottenuti con fecondazione artificiale non sono senza rischi: per la stabilità della coppia; per la salute della donna (ecco perché l’importanza della presenza di psicologi nei centri come quello di Arco), sottoposta spesso ad un vero calvario; per la salute stessa dei bambini concepiti.

Nel suo "Procreazione medicalmente assistita" (Armando, Roma, 2004), ad esempio, Manuela Ceccotti, psicologa e psicoterapeuta, riporta un’ indagine tratta da alcuni studi italiani ad opera di Eurispes (1990), Flamigni (1998), Sismer (1998), in cui risulta che in seguito a Fiv gli aborti vanno dal 18 al 30%; le prematurità, dal 9 al 18%; i parti gemellari, dal 20 al 35 %; i parti trigemini, che sappiamo associati a forti rischi per la madre e per i bimbi, dallo 0.5 al 6 %; la mortalità perinatale dal 13 al 17%; il basso peso alla nascita, dal 5 al 10%… Questi dati si accordano perfettamente con l’indagine effettuata sempre dall’ Adige, in data 24 gennaio, in cui si sottolineava l’aumento di bambini prematuri e di patologie neonatali, al Santa Chiara di Trento, proprio in seguito alla nascita del centro di Fiv di Arco. Sempre Manuela Ceccotti, a pagina 111 del testo citato, dopo aver messo in luce la connessione tra Fiv (o Pma) e parti multipli, ricordata anche dalla giornalista dell’Adige, afferma che "la mortalità materna è tre volte superiore nelle gravidanze multiple rispetto alle gravidanze singole, prevalentemente come conseguenza del maggior rischio di preeclampsia e di emorragia al parto (Nicolini e Hall). Per quanto riguarda i feti/neonati, molti sono i problemi derivati dalla prematurità. L'epoca gestazionale media per il parto è pari in media a 37 settimane per gravidanze bigemellari e 33,5 per trigemellari. La percentuale di nati di peso inferiore ai 1.500 g è del 10% per gemelli, 25% per trigemelli e maggiore del 50% per nati da gravidanze con quattro o più gemelli. Come conseguenza la mortalità perinatale è 4-5 volte superiore nelle gravidanze bigemellari e 9 volte superiore nelle gravidanze trigemellari… Anche quando i bambini sopravvivono sono comuni i problemi di ritardo del linguaggio e le difficoltà di apprendimento”.

E’ noto che proprio una tecnica molto utilizzata ad Arco, la Icsi, comporta svariati rischi per la salute del bambino, per molti motivi, che sono stati illustrati anche dall’inventore della tecnica stessa, il dottore francese J. Testart, nel suo “La vita in vendita” (Lindau). Tra questi la possibilità che il nascituro, essendo stato concepito con seme di padre sterile, sia anch’egli sterile, e che tutto il procedimento artificioso abbia conseguenze sul suo sviluppo neurologico. La rivista scientifica “Fertility and sterility”, del novembre 2007, ha sottolineato proprio la pericolosità della tecnica Icsi per il “cognitive development” del bambino, affermando che il quoziente intellettivo nei nati con Icsi è inferiore a quello degli altri bambini; mentre il dr. Flamigni, sui nati da Icsi, ricorda che la “letteratura riporta un lieve aumento dell’incidenza di anomalie dei cromosomi sessuali, da mettere in relazione con alterazioni genetiche presenti nel padre”.

Il fatto è che le tecniche di Pma procedono per tentativi, sperimentando spesso sulla salute delle donne e dei nascituri, e promettendo sovente molto di più di quello che riescono a dare. E’ bene che questo lo sappiano le coppie che vi ricorrono, indotte dal sacrosanto desiderio di maternità e di paternità, senza essere ingannate dalle promesse di una tecnica che si presenta come onnipotente, ma che non lo è affatto, come risulta da tutti gli studi riportati sulle riviste internazionali di medicina; senza doversi sottoporre a stress ed a spese ingenti che rischiano non di rado di rivelarsi inutili.

Personalmente sono dell’avviso che la giusta e profonda esigenza di maternità e di paternità debba trovare altre risposte: incentivando le cure contro la sterilità e semplificando e accelerando profondamente l’estenuante procedura che porta all’adozione, nella consapevolezza che vi sono comunque una maternità e una paternità affettive, psicologiche, di cuore, che sovrastano il pur comprensibilissimo desiderio di genitorialità naturale.

Pino Morandini