venerdì 16 maggio 2008

a proposito del d.d.l. sui "D.I.C.O."

Trento, 16 febbraio 2007

“ SUI DICO ”

La lettura del disegno di legge del Governo sui DICO evidenzia come molti articoli stabiliscano cose che possono essere già oggi soddisfatte con il diritto vigente. Così, per le visite in ospedale; per le esigenze della successione; per la garanzia dell’abitazione – qui perfino una sentenza della Corte costituzionale (n. 404 del 07/04/1988) consente di contestare il contratto o il titolo di proprietà; per l’assistenza in caso di malattia,ecc… Perché allora tanta insistenza su uno strumento forte o pubblicistico?

Probabilmente, perché si avverte che il matrimonio dà qualcosa in più, sul piano sociale, rispetto ad un’unione libera. Qualcosa in più che si cerca di ottenere utilizzando lo schema del matrimonio, ma solo in quella parte che torna utile.

Qualcuno potrebbe obiettare che proprio con i DICO si vorrebbe usufruire di alcuni diritti che attualmente sono riconosciuti solo alle coppie sposate. Se è così, pare davvero indebita l’intenzione di coloro che pretendono un riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere diritti senza doveri. Proprio i DICO francesi, e altre analoghe esperienze europee (si pensi all’Olanda ed alla Gran Bretagna) chiariscono che spesso ci sono diritti senza i corrispondenti doveri: nel campo successorio; in quello patrimoniale, ecc.. Alla luce del citato d.d.l. del Governo italiano, per esempio, se la badante dichiara, oltreché di accudire il proprio assistito, di convivere con lo stesso, vedrebbe o no acquisire rilevanza giuridica, e quindi diritti, da siffatta dichiarazione di affetto in convivenza? E se una delle due parti, legate dai DICO, si sposa con un terzo, senza che l’altro lo sappia? Questo, per esempio, è accaduto sovente in Francia.

Perché non si parla di altri effetti di eventuali DICO o assimilati? E, cioè, per esempio, che alle nuove generazioni la legge offrirebbe la possibilità di due tipi di matrimonio? Il primo, quello che tutti conosciamo; l’altro, che si qualificherebbe come un matrimonio dimezzato, che prevede diritti con pochi (o nulli) doveri. Una sorta di piccolo matrimonio, più comodo e meno impegnativo. Cerchiamo di proiettare nel tempo questa situazione: chi può dire in coscienza che, così facendo, non si dia un’educazione deresponsabilizzante ai giovani e non si svilisca il matrimonio vero e proprio, perché più impegnativo? Perché, prima di legiferare affrettatamente – quasi che i DICO fossero una delle urgenze italiane ed invece la grande urgenza sta nelle politiche per la famiglia – non ci si interroga sull’esperienza anglosassone ed olandese in tema di PACS, che evidenzia, anche a detta di molti laici, un serio danno alla formazione dell’identità dei figli? Da tempo gli psicologi avvertono che il figlio sente tutto il peso di una separazione personale tra padre e madre. Su quale fondamento stabile potrà poggiare il suo naturale bisogno di sicurezza e stabilità di fronte ai genitori che sanciscono sin dall’inizio la precarietà del loro legame affettivo?

Perché non si riflette sul fatto che la vera discriminazione verrà proprio dai DICO a danno dei coniugi regolarmente sposati? Riconoscendo le unioni di fatto, lo Stato si assume infatti delle obbligazioni verso i conviventi, mentre questi non ne assumono alcuna; riconosce loro facilitazioni ed incentivi senza esigere in cambio quei doveri che invece esige dai coniugi.

Se i membri delle unioni di fatto si trovano in stato di bisogno, sono possibili interventi di aiuto (se non ci sono già) a loro come singoli, non alle relazioni, senza equiparare giuridicamente i conviventi ai coniugi, che invece con il matrimonio si sono assunti una pubblica responsabilità, con diritti e doveri reciproci.

Se lo Stato intende dare incentivi alle coppie di fatto, perché in futuro non dovrà concederli anche ai membri di altre relazioni affettivo – solidaristiche, come quelle tra un anziano e un parente; tra amici; ecc.? Perché privilegiare i conviventi? Forse perché le loro relazioni hanno a base un’unione sessuale? Ma se contasse solo questa, perché non incentivare economicamente, per esempio, anche la poligamia?

E come mai uno dei leader del movimento a favore dei DICO è da anni leader storico dell’Arcigay? Non è forse che proprio i DICO rappresentano il primo passo di una strategia più ampia, il cui fine ultimo non è tanto quello di rispondere ad un bisogno delle coppie di fatto, ma di destabilizzare l’identità della famiglia, che è elemento costitutivo della persona umana?

Il matrimonio non è invenzione della Chiesa. Sposandosi, l’uomo e la donna “si promettono” reciprocamente. Quella promessa implica una dimensione spirituale che qualifica l’essere umano. Quando gli esperti si accingono ad approfondire lo studio delle popolazioni, ne analizzano tre elementi decisivi: linguaggio, religione e famiglia. Se si attacca una di queste dimensioni, si rischia di incrinare fortemente l’identità dell’uomo.

Pino Morandini

Capogruppo U.D.C. in Consiglio regionale

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