venerdì 16 maggio 2008

Sulla Riforma Istituzionale promossa dalla Giunta

Trento, 8 giugno 2006

Il coraggio di una reale innovazione istituzionale. Questo, a mio avviso, è il grande assente nel cammino che sta percorrendo il disegno di legge di riforma istituzionale, presentato dalla Giunta provinciale.

Va preliminarmente dato atto che, rispetto alla sua originaria formulazione, quel disegno ha accolto alcune proposte migliorative, anche grazie all’apporto di noi minoranze consiliari ed alla disponibilità dell’Assessore di merito. Ciò nondimeno, l’anzidetta riforma rischia di restare fortemente monca, non solo perché l’elezione diretta dell’Assemblea delle comunità non è prevista uniformemente in legge per ciascuna di esse; ma anche e soprattutto perché la c.d. autonomia finanziaria, prevista in via generale dall’art. 5, appare mortificata negli articoli che la debbono poi attuare (in particolare gli artt. 23 e 24).

Quanto al primo aspetto (elezione diretta) non mi stancherò mai di ribadire come sarebbe assai più pregnante l’autorevolezza di un’Assemblea – e dei rispettivi componenti – che debba la propria costituzione alla legittimazione ricevuta direttamente dalla gente attraverso un voto liberamente e democraticamente espresso.

Non è forse vero che l’organo principale dell’ente intermedio, se fosse investito di legittimità popolare, avrebbe maggior potere contrattuale nei confronti della Provincia, proprio in virtù dell’autorevolezza che gli deriverebbe da quell’investitura? E se così accadesse non sarebbe più facile per le comunità evitare il rischio della loro fagocitazione da parte della Provincia, a tutt’oggi troppo accentratrice di potere a scapito delle comunità stesse? E non verrebbe in tal modo facilitata la pari dignità politica dei cittadini di tutti i Comuni, a partire da quelli più piccoli? Come potrebbe la Provincia disattendere o sottovalutare pareri di enti i cui rappresentanti sono stati eletti direttamente dal popolo, pena l’incorrere in comportamenti quantomeno politicamente scorretti?

Quanto all’autonomia finanziaria di comuni e comunità, mi limito ad esaminare le norme attuative della formulazione generale contenuta nell’art. 5, che alla lett. d), dichiara semplicemente di volerla assicurare. Ma in quale modo? Non è forse assai limitata l’autonomia finanziaria dall’art. 24, che, mentre per le spese correnti contempla una serie di criteri per i trasferimenti finanziari a comuni e comunità (peraltro sussistenti già oggi), per le spese d’investimento dei comuni prevede un vincolo di destinazione (manutenzione e miglioramento) e lo limita alle strutture esistenti; mentre per la parte davvero innovativa, gli interventi sono ammessi solo se considerati di rilievo “dalla programmazione e dagli atti di indirizzo provinciali”? E l’art. 23 non prevede forse la definizione, per i bilanci di comuni e comunità di vincoli, obblighi e obiettivi concernenti non solo i soldi, ma pure le componenti delle entrate e delle uscite? E non è forse vero che quell’interpretazione del patto di stabilità interno è contestata dalla Provincia quando utilizzata dallo Stato verso le Regioni e le Province autonome? Perché due pesi e due misure?

Quanto, infine, alla c.d. concertazione, che si realizza, nella proposta in discussione, attraverso le “intese”, non può non rilevare l’art. 8, che dispone come “La conclusione delle intese e degli accordi di programma previsti dal comma 10 tra la provincia e le singole comunità è obbligatoria nelle materie relative al governo del territorio, ai servizi pubblici e alle attività economiche”. Vien subito da chiedersi quale settore di attività, di un certo rilievo, della comunità di valle, è sottratto a tale obbligo. E’ questa l’autonomia che si vuole conferire alle suddette comunità? E se, come dice la Giunta, a salvare l’autonomia accorresse in aiuto la concertazione, perché la Provincia, nel mentre impone le intese praticamente su tutto alle comunità, non accetta che nelle materie di sua competenza essa possa essere obbligata ad intese di programma con lo Stato? Pure qui due pesi e due misure dell’autonomia. Una leale collaborazione tra enti ha come necessaria premessa che ciascun ente sia rispettato nella propria autonomia.

Cons. Pino Morandini

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