venerdì 16 maggio 2008

Crocifisso: replica al pres. Dellai

Il Presidente Dellai, nel replicare alla mia interrogazione a risposta immediata, riconosce la vigenza e la validità delle norme concernenti l’obbligo dell’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. Epperò lascia alle scuole di regolarsi come ritengono, visto che esse conoscono le norme che le disciplinano.

In proposito vorrei richiamare alcuni punti di riferimento:

1.- l'art. 117, comma 1, lettera n) della Costituzione (nella sua vigente edizione) assegna alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le "norme generali sull'istruzione";

2.- l'art.30 della legge 28 luglio 1967, n. 641 richiama espressamente l'art. 119 del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297. L'espresso richiamo è importante, in ambito giuridico, in quanto fa rivivere, attualizzandola, la norma del regio decreto che prescrive l'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. L'obbligo riguarda, pertanto, tutti, impiegati e non, in quanto, essendo previsto da una legge e non da un regolamento, la sua vincolatività e quella tipica della legge, cioè erga omnes;

3.- con nota 19 ottobre 1967, n. 367/2527, emanata proprio in applicazione dell'art. 30 della legge n. 641 del 1967, il Ministero dell'Istruzione, dispose la composizione dell'arredo della aule scolastiche elementari e medie ed aveva indicato al primo posto proprio il Crocifisso. É evidente che non si tratta di un "arredo", ma, nella specie, è visto come tale, indipendentemente, cioè, dal suo altissimo significato spirituale -che implica e sottende- in quanto assunto nell'ambito degli arredi scolastici;

4.- l'art. 9, comma 2 della legge 25 marzo 1985 (di ratifica del nuovo Concordato lateranense) prescrive espressamente che "i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano" e che " nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento" (cioè dell'insegnamento della religione cattolica);

5.- con decreti legislativi 16 aprile 1994, n. 297 e 6 marzo 1998, n. 59 è stato emanato il T.U. in materia scolastica;

6.- Con nota 3 ottobre 2002, n. 2667, il Ministero dell'Istruzione e dell'Università sottolinea che "le incombenze a carico dei capi d'istituto non sono state nè abrogate nè modificate dalle disposizioni del T.U." ed invita i Provveditori agli studi a "richiamare l'attenzione dei diriigenti scolastici sull'esigenza che sia data attuazione alle norme sopra menzionate attraverso l'adozione delle iniziative idonee ad assicurare la presenza del Crocifisso nella aule scolastiche". Ciò è coerente non solo con la realtà storica, ma anche con l'art. 7 della Costituzione, il quale, nel disciplinare i rapporti tra Stato e Chiesta cattolica, pone quest'ultima al di sopra delle altre confessioni religiose (disciplinate nel successivo art. 8) in quanto, per credenti, non credenti, atei, agnostici (e chi più ne ha, più ne metta!) la religione cattolica fa parte del patrimonio storico del popolo italiano (checchè ne dicano o pensino i vari sindacalisti). Ne consegue che, soltanto, il Ministero potrebbe autorizzare la esposizione, nella aule scolastiche, di altri simboli religiosi. Ma, fino a quel momento, l'unico simbolo che deve obbligatoriamente esporsi è il Crocifisso.

7.- Il patrimonio storico costituisce il DNA dell'identità nazionale di ogni popolo che la stessa Costituzione europea si è obbligata a rispettare. Nel preambolo della parte II, relativa alla "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione", la Costituzione europea sottolinea il principio secondo cui, nel contribuire alla salvaguardia e allo sviluppo dei valori comuni, l'Unione rispetta le "diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonchè l'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale".

Solo la voluta non considerazione di tutto quanto sopra fa, perciò, delle religioni una sorta di "ammucchiata all'italiana".

Ci si chiede, allora, se il Trentino è uno Stato a sè, fuori persino dagli Stati europei, avente una sua identità nazionale (divesa da (e contrapposta a) quella italiana). Il che, certamente non consente la tanto invocata (molto spesso a sproposito) "autonomia" (che, è bene ricordare, è sovranità derivata da quella -originaria- dello Stato).

Se, dunque, tale non è il Trentino, deve, allora, applicarsi,anche in provincia di Trento, in base al generalissimo principio gerarchico, la suddetta nota 3 ottobre 2002, n. 2667, la quale, lungi, dal porsi in contrasto con le norme primarie interne ed internazioni, le rispetta e le attua. Pertanto, nè gli insegnanti -che sono pubblici ufficiali, sottoposti al potere gerarchico, nè tanto meno i sindacati, hanno potere di intervenire in merito.

Pino Morandini

Nessun commento: