Trento, 22 febbraio 2007
R.U. 486: quel triste primato trentino
E così, la sanità trentina un “primato” ce l’ha: quello degli aborti farmacologici, cioè di quelli causati dalla somministrazione della pillola R.U. 486, che il Trentino può “valutare” addirittura in numero di 100! Primato che collocherebbe la nostra Provincia “all’avanguardia” rispetto al restante territorio nazionale, configurando un “traguardo di tutto rispetto”. Ed il “merito” di tutto ciò sarebbe da ascrivere al Primario di Ginecologia del S. Chiara.
A completare il quadro “idilliaco” concorre poi l’affermazione del ginecologo torinese Silvio Viale, per il quale “la pillola R.U. 486 è sicura ed efficace”.
Peccato che non sia così. Dove sono state condotte delle serie verifiche tecniche e scientificamente fondate, come in California, circa gli effetti della R.U. 486 sulle gestanti, sono emersi risultati preoccupanti, che quantomeno indurrebbero a molta cautela. In quel Paese, infatti, 16 donne sono morte per complicanze (emorragiche o di altro tipo) dovute all’assunzione di quel farmaco. Tant’è che, anche a seguito di iniziative legali promosse dai genitori di una donna deceduta a causa della R.U. 486, detto farmaco è stato inserito tra i medicinali “a banda nera”, considerata la sua pericolosità. E tra i più recenti decessi, in Europa a causa di quella pillola, vi è purtroppo da annoverare anche la morte della figlia di Sicari, attuale Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica francese.
Ciò che stupisce in modo raggelante è l’assoluta assenza, nelle affermazioni del Primario, dell’altro soggetto, accanto alla madre, allorquando si è in presenza di una gravidanza: il figlio.
E sì che la stessa Corte costituzionale in più occasioni (sentenza n. 27/’75 e n. 35/’97) ha ribadito, specie con la seconda pronuncia, la garanzia costituzionale del diritto alla vita del concepito, affermando come “il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da ascrivere tra i diritti inviolabili, essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
Nessun accenno al doveroso aiuto previsto pure dalla legge 194/78 (artt. 2, 4 e 5) sull’aborto, da garantire alle gestanti in difficoltà, cui pure le pubbliche strutture sono tenute. Nessuna reale alternativa offerta alla donna in difficoltà: solo l’alternativa “di resa”, di paura e spesso di forti problemi per lei ed il figlio: quella dell’aborto chimico in luogo di quello chirurgico. Non è così che si aiutano madre e figlio! L’esperienza del volontariato per la vita ha indicato una via positiva e fruttuosa: quella della condivisione e del sostegno materiale e morale.
Diversamente, si fa strame anche del concetto di prevenzione. Va distinta, infatti, la prevenzione del concepimento dalla prevenzione dell’aborto. Una volta, infatti, avvenuto il concepimento, per quanto non voluto, cosa facciamo per prevenire l’aborto?
Cons. Pino Morandini
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