Trento, 30 aprile 2008
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recita l’art. 1 della Carta Costituzionale. Preferirei di gran lunga che l’incipit della Carta Fondamentale della repubblica italiana declamasse “L’Italia è un Repubblica fondata sul rispetto e la salvaguardia della persona umana e della sua dignità…”.
Ma tant’è.
Forse senza ipocrisie, giacché spesso i diritti degli esseri umani sono calpestati, pure sullo stivale. Allora, “accontentiamoci” di quel preambolo un po’ ferrigno, che rimanda alle catene di montaggio. Almeno, proviamo a leggerlo in positivo, intendendo cioè che il lavoro è visto come non soltanto un diritto/dovere di ogni uomo (ed in tempi d’imperante e selvaggio precariato sarebbe già gran cosa!!!), bensì anche che dall’esercizio d’una legittima attività lavorativa consegue un giudizio d’approvazione da parte della collettività organizzata.
In ossequio a tale concezione, in occasione della “festa del lavoro” del primo maggio, si assegnano le “stelle del lavoro”, premiando figure che particolarmente si sono distinte, per i motivi più svariati, in una vita di fatiche, profuse in tutti i settori della vita professionale.
In tutti? No, sbagliato.
Purtroppo, scandalosamente, rimane priva di rappresentanza la categoria che numericamente supera di gran lunga ogni altra, che silenziosamente si sfianca per compiere la propria attività, spesso nel silenzio. E ne rimane esclusa senza motivo. Certo, non ci sono agguerritissime rappresentanze sindacali pronte a difenderne i diritti. Ma non si tratta solo di questo. Più probabilmente, è un fatto “culturale”, una mentalità influenzata forse dall’aria modernista della rivoluzione industriale che ritiene rilevante solo un lavoro immediatamente spendibile nell’ottica del mercato.
Il lavoro casalingo: - è di ciò che sto parlando - invece non se lo fila nessuno. Nemmeno le “stelle del lavoro” paiono degnarlo d’una qualche considerazione. E, francamente, lo trovo scandaloso.
A comporre l’universo di questo mondo “sommerso” sono miliardi di donne (ma non solo), che svolgono un’attività non remunerata (accanto magari ad un altro lavoro, certo meno negletto), che non conosce orari, che, al posto del potere direttivo del datore di lavoro ha i ritmi della vita. Lavoro che non finisce mai, e spesso, pure dagli stessi componenti il nucleo familiare è guardato con supponenza e manco ritenuto degno di un semplice “grazie”. Non ha tutela previdenziale né ferie, nulla.
Certo, qualcosa parrebbe lentamente cambiare: leggi in materia previdenziale iniziano ad affrontare il fenomeno, seppur tangenzialmente. Il mio “Pacchetto Famiglia” poi tentava di dare un aiuto concreto a queste situazioni, prima che la Giunta Dellai lo cancellasse. Il codice civile addirittura parifica il lavoro casalingo prestato da uno dei coniugi a quello prestato “professionalmente” (art.148), come fattore di contribuzione al c.d. “regime patrimoniale primario” dell’organizzazione familiare.
Ma non basta.
Assolutamente, non basta per chi spende un’intera vita, dal fiore degli anni alla vecchiaia per sostenere i propri cari all’interno delle mura domestiche e non solo.
Sarebbe stata proprio per questo motivo una splendida occasione, il primo maggio, per dare un segnale di inversione di tendenza anche culturale. Premiare, accanto agli altri rappresentanti delle categorie professionali (cui va peraltro tutto il mio apprezzamento e la mia stima), che ne so, una casalinga, magari madre addirittura di molti figli, sarebbe stato davvero un segno di reale progresso nella percezione della reale, pulsante, vita sociale. Che attraverso questa figura si fosse tentato di riconoscere, in un modo che certamente mai sarà sufficiente, il silenzioso ma essenziale operare di queste lavoratrici e lavoratori all’interno della società sarebbe stato un segno. che, almeno qui, non si deve sempre cedere agli imperativi del mercato.
Cons. Pino Morandini
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