Il buon Giulianone Ferrara stavolta l'ha fatta grossa. La lucidità con cui ha gridato un'ovvia realtà gli sta procurando una marea di polemiche, di strombazzate benpensanti et similia. Guarda caso, proprio tra coloro che si stavano ancora spellando i palmi delle mani all'udire della moratoria sulle esecuzioni capitali finalmente varata al Palazzo di vetro. Per molti, pronti al pietismo più universale quando si tratta di levare un collo di condannato alla mannaia del boia, la lucida analisi di Ferrara è stata un salutare un calcio nel fondoschiena. Ma, soprattutto, ha rappresentato un'urticante invito al confronto che, presi dal fondamentalismo laicista, essi non fanno altro che eludere.
Giacché, finché a proporre certi paragoni “blasfemi” è il sottoscritto, o chi come lui, i soloni del modernismo fanno semplicemente spallucce. Mormorano tra sé “è integralismo cattolico”, e con la coscienza in pace passano oltre. Ma dinanzi alla mole di Giuliano non hanno più nemmeno la sterile difesa di cui sopra. Egli, laico tra i laici, li pone con le spalle al muro.
Ed, infatti, gran parte delle repliche consiste in un “è un paragone inaccettabile”. Dando prova di grande tolleranza ed apertura al dialogo, i moderni maitre a pensier si trincerano dietro i loro dogmi. E rifiutano ogni confronto razionale.
Perchè analizzando i fenomeni, in nuce non v'è differenza alcuna tra un'esecuzione capitale ed un aborto. Sono entrambe soppressioni d'una vita umana per mano di altri soggetti. Ma, certo, unificare i due fenomeni anche da un punto di vista nominalistico, fa paura. E' troppo comodo, nonché tipico dei regimi totalitari, contrabbandare lo sterminio di massa attraverso la “truffa delle etichette”. Ma ciò non è degno di coscienze critiche, d'esseri umani pensanti. Io, da laico pensatore, non m'accontento dell'etichetta. Al fondo del problema, c'è l'uomo. La cui vita è calpestata, violata. Sia dal capestro, che dalla chirurgia abortista.
Stupisce che la contestazione (o, meglio il rifiuto dogmatico) all'appello del Foglio verta sull'emotività, su un piano irrazionale. Ma, a ben guardare, ciò non rivela che la nullità argomentativa delle tesi avverse.
Non accettare il paragone fogliesco perchè la scelta della donna sarebbe insindacabile, semplicemente, non è una risposta. E' un'affermazione che, tradotta, suona più o meno così: “non importa se è soppressa una vita o meno, nell'utero io sospendo ogni indagine, perchè la penso così”.
Ma ciò è inaccettabile. Non nego che in moltissimi casi la scelta di ricorrere alla soppressione del bimbo in fase prenatale sia drammatica. Ma qui non si discute di questo. S'afferma che la vita umana è sempre inviolabile. E, dovunque sia violata, è...omicidio. Sia che il trapasso avvenga per opera degli apparati statali espressione della collettività, sia che a cagionarlo sia una scelta individuale. Riconoscere ad un soggetto il diritto potestativo sulla vita i un altro è la fine dello Stato di diritto. E' il darwinismo sociale. Altro conto è il discutere che, in casi estremi di conflitto si debba sospendere il rimprovero della legge penale. Ma ciò non è la conferma del principio, non il grimaldello con cui sovvertirlo. Ed il sovvertimento reca dritto ad Auschwitz. Inoltre il trincerarsi dietro ragioni di opportunità contingenti non fa altro che contraddire il principio strombazzato per strappare del braccio della morte. Un principio (la vita è sacra) o vale sempre, o è una scelta d'opportunità. E la storia insegna che succede a relativizzare la dignità umana...
La vita è intangibile, siano i soggetti che la recano criminali nazisti, incalliti pluriomicidi o bambini portati in grembo dalle loro madri. Violarla è, sempre, la sconfitta dell'intera umanità.
Il resto, sono balle, artifici più o meno riusciti per arrampicarsi su specchi sempre più scivolosi.
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