venerdì 16 maggio 2008

Stava, 22 anni dopo

17 luglio 2007

Stava, 22 anni dopo

Tutti siamo responsabili per la sicurezza e l’incolumità nostra e degli altri, sia come persone che come reggitori di una comunità. Ciò comporta approfonditi esercizi di previsione delle situazioni di rischio che si prospettano ed attuazione di misure preventive e correttive.

La tragedia di Stava, a 22 anni dall’evento, coi suoi 269 morti, insegna questo, proprio per impedire che accada ciò che era già accaduto ai superstiti del Vajont: il loro particolare scoramento nel constatare che la propria catastrofe non sia stata da noi vissuta come un qualcosa di cui far tesoro per evitare la tragedia di Stava. Imparare la lezione di quella tragedia e proporre le opportune future azioni correttive: questo è l’insegnamento più efficace che ci viene.

Penso in particolare alle aspettative di sicurezza dei cittadini e alla loro disponibilità per un approccio approfondito circa l’importanza di questi temi e la necessaria energia morale per affrontarli in modo efficace.

“Sarebbe bastata la normale diligenza” commentava a pochi giorni da quel 19 luglio ’85 un tecnico accorso sul luogo della disgrazia. In effetti già il primo bacino – come evidenziò il magistrato – aveva in sé i germi della catastrofe. La cui genesi pare situarsi proprio nel momento in cui furono scelti, per ospitare i bacini, i prati di Pozzole, senza alcuna attenzione alla natura dei terreni. Era facilmente prevedibile che l’evento si potesse verificare, e sarebbe stato semplice prevenire la tragedia: “Sarebbe bastato – scriveva uno degli avvocati della parti, esperto in materia – prosciugare e mettere in sicurezza i bacini quando il penultimo gestore cessò l’attività, sette anni prima dell’evento. Per una serie di decisioni sbagliate la miniera e i bacini che dovevano essere abbandonati, vennero riattivati”.

Il cuore e la mente vanno a quelle ore dell’immediatamente dopo, ripensando allo strazio di quei corpi e all’angoscia dei superstiti. E alcune riflessioni si impongono.

La prima è una speranza: che riemerga forte la solidarietà dei tempi immediatamente successivi alla catastrofe. Le Istituzioni mantengano alto lo zelo confortante che le aveva contraddistinte per tre lunghi anni da quel famoso 1985. La Giunta provinciale, in particolare, riservi le dovute attenzioni a tutto quanto può ancora fare in proposito.

La seconda riflessione è un auspicio: che la lezione di Stava serva per alimentare una reale cultura del lavoro e della tutela di chi vi opera e della comunità coinvolta, affinché cresca la presa di coscienza della reale pericolosità di certe attività e la necessità dei loro controlli. Per fare un esempio, a Virginia, nel Sudafrica, dove la lavorazione dell’oro avviene con modalità del tutto simili a quelle della fluorite (che si lavorava a Stava), tutti i responsabili e gli addetti sono coperti da consistenti polizze assicurative contro il rischio insito nell’attività. Con la benefica conseguenza di periodici controlli che le Compagnie assicurative esigevano al riguardo.

Ci serva di monito quanto in proposito annotava un magistrato, allorquando evidenziava che le iniziative a scopo preventivo sarebbero costate un decimo di quel che sono costati gli accertamenti dei periti.

L’ultima riflessione è un invito: a guardare avanti, facendo tesoro del passato per evitare altre catastrofi e lavorando per mantenere la “memoria attiva” di quanto è tragicamente accaduto.

Anche per questo va fortemente sostenuta, pure dalle Istituzioni, la Fondazione Stava 1985. Dopo la bocciatura, da parte del Consiglio regionale, di un nostro disegno di legge che andava in questa direzione, la Giunta ha recepito quella proposta, che poi il Consiglio ha approvato.

C’è bisogno di non dimenticare: perché catastrofi, come Stava, Cermis, Vajont, rimangano nella memoria di tutti; per rafforzare quella cultura del rispetto della vita umana e della sicurezza delle persone, alla cui mancanza vanno fatte risalire le cause di quelle catastrofi. A questo la Fondazione sta lavorando da tempo attraverso il Centro di documentazione.

Cons. Pino Morandini

Nessun commento: