A PROPOSITO DELLE STIMMATE DI P. PIO
Risposta all’avv. Sandro Canestrini
“C’è abbastanza luce per chi vuol vedere…” ammoniva Pascal a proposito di Dio e dei Suoi santi, e quindi della fede. E’ quanto m’è rimbalzato alla mente notando lo scritto dell’avv. Sandro Canestrini, che ripropone quantomeno il dubbio (ma anche qualcosa di più) relativamente alla realtà delle stimmate di padre Pio.
Stiamo parlando di un santo venerato da milioni di persone in tutto il mondo, con una miriade di miracoli alle spalle, messo in dubbio, quanto alle stimmate, da quattro grammi di acido fenico, che il giovane frate chiese ad una farmacista nel 1919.
E’, questa, una vecchissima testimonianza, ben nota ed esaminata a fondo da quanti lavorarono al processo di beatificazione. Il documento è stampato in un fascicolo del Sant’Ufficio del marzo 1921. Per sostenere i dubbi sollevati da p. Agostino Gemelli – il quale, pur senza esaminare le piaghe (perché p. Pio si rifiutò di mostrargliele in mancanza di un ordine scritto del Vaticano), concluse che le ferite non erano soprannaturali, ma frutto di autolesionismo e isteria – l’allora Suprema Congregazione dottrinale produce la deposizione giurata della ventottenne farmacista Maria De Vito: “Io sono stata un’ammiratrice di P. Pio e l’ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, p. Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello “chauffeur” che presta servizio nell’autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo, con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l’acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, ecc. che io mandai”.
La citata testimonianza arrivò in Vaticano attraverso l’Arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, artefice della “prima persecuzione” contro il frate, del quale diceva: “Si procura le stimmate con l’acido citrico e poi le profuma con l’acqua di colonia”.
Ecco su quali basi vennero enunciate simili affermazioni. In realtà, non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico – sostanza con proprietà antisettiche, normalmente usata come disinfettante – siano stati utilizzati da p. Pio per procurarsi le ferite.
Non solo. Dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un’altra verità. Infatti, le stimmate di p. Pio furono esaminate attentamente dal prof. Festa, che il 28 ottobre 1919 redasse una relazione assai dettagliata, accertando che esse “non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna e che neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti”.
Successivamente, pure il dott. Bignami effettuò sulle mani di p. Pio un esperimento, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate.
La prova dell’infondatezza dell’accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l’acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Invece per cinquant’anni sono inspiegabilmente rimaste sanguinanti ed aperte.
Non sarebbe forse ora di lasciare in pace il santo padre Pio, almeno dopo morto?
Pino Morandini
Magistrato, Consigliere regionale
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