domenica 27 settembre 2009

Mozione su Chico Forti approvata all'unanimità dal Consiglio Regionale

“Enrico Forti ha diritto ad un processo”



Dopo appena venticinque giorni di processo sommario, il 15 giugno del 2000, Enrico Forti, imprenditore trentino recatosi all’estero per ragioni di lavoro, venne condannato per omicidio.

L’intera vicenda ha dell’incredibile: costui, secondo la giuria popolare della Dade Country di Miami, sarebbe il mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di Antony Pike, conoscente di Forti a quel tempo in gravi difficoltà economica.

Per comprendere l’inconsistenza delle accuse mosse a Forti, non occorre scendere nei particolari e basta rammentare, com’è stato ampiamente provato, che l’intero contatto tra Forti e Dale Pike è durato appena mezz’ora, che i due non si erano mai incontrati e che l’imprenditore trentino non aveva alcuna ragione per vendicarsi col padre del ragazzo, che, anzi, avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, vale a dire il 18 febbraio, a New York.

Inoltre - a parte il fatto che non è mai stata trovata l’arma del delitto, che nessuno ha mai provato in alcun modo il contatto tra l’assassino di Pike, tutt’ora senza nome, e Forti - ulteriore prova dell’innocenza dell’imprenditore trentino è riscontrabile nel fatto che costui, convocato come persona informata dei fatti poco dopo l’omicidio, si recò spontaneamente e senza avvocato al dipartimento di polizia. Comportamento assai singolare, per un potenziale mandante d’omicidio.

A questo si aggiunga la totale assenza a suo carico, escluse quelle “circostanziali”, la cui inconsistenza è denunciata dallo stesso vocabolo, che rimanda a circostanze, coincidenza, ma certo non a certezze o a fatti.

L’assenza di prove a carico di Forti fu tale che il pubblico ministero locale, Reid Rubin, impiegò ben ventotto mesi per predisporre la sua arringa finale, un vero e proprio record, tipico di chi è costretto a costruire un impianto accusatorio sulle sabbie mobili.

Paradosso finale dell’intera vicenda, fu che la parola finale, al processo, venne concessa proprio al pubblico ministero Rubin, che fu pertanto libero di avanzare la più strampalata delle teorie, consapevole del fatto che né Forti, né il suo avvocato avrebbero potuto opporre replica alcuna.

Questo l’incredibile pronunciamento, dopo appena poche ore di ritiro, della Corte:

“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”.





Ciò premesso il Consiglio regionale della Regione Autonoma Trentino- Alto Adige/Südtirol impegna il Presidente del Consiglio e l’Ufficio di Presidenza



ad adoperarsi, unitamente al Presidente della Giunta, presso le competenti Istituzioni nazionali – Capo dello Stato e Presidente del Consiglio – affinché possa essere chiesta alle Autorità statunitensi quantomeno una revisione del processo che ha visto la condanna dell’imprenditore trentino Enrico Forti.

martedì 22 settembre 2009

Interrogazione:Quale futuro per i sessanta lavoratori della ex Lovara?

Alle continue rassicurazioni, ancora una volta, non sono seguite risposte concrete.

Accade così che a Malè ben sessanta lavoratori ex Lowara siano ancora in attesa di essere assunti dalla Sitos Srl, azienda che ha rilevato lo stabile e che, in seguito ad accordi stretti con la Provincia, entro pochi mesi avrebbe dovuto provvedere alla loro assunzione.

Gli accordi prevedevano che l’azienda assumesse trenta lavoratori entro la fine del 2008, per poi, entro il 2009, arrivare a quarantacinque ed infine, nel 2010, dare un lavoro a tutti e sessanta.

Purtroppo, i ritardi maturati sinora lasciano supporre che non solo le tempistiche accordate in precedenza tra la Sitos Srl e la Provincia non saranno rispettate, ma che vige forte incertezza anche su una futura assunzione di molti dei sessanta lavoratori visto e considerato che, allo stato, appena sei di loro sono stati riassorbiti.

Si susseguono assemblee pubbliche ed incontri, ma cresce, tra i sessanta lavoratori, la comprensibile sensazione che ben poco degli accordi tra la Sitos Srl e la Provincia, alla fine, troverà concreto riscontro. Ora, se da un lato è comprensibile che i rappresentanti della Provincia, tanto più in una così difficile stagione economica, che vede il prodotto interno lordo italiano in grave recessione, incontrino effettive difficoltà a restituire un lavoro ai sessanta lavoratori ex Lowara o comunque ad indirizzarli verso un possibile nuovo impiego, dall’altro, è bene che le istituzioni, specie se hanno già raggiunto accordi, com’è per il caso della Sitos Srl, facciano tutto il possibile per farli onorare.

Ne va, infatti, non solo della credibilità istituzionale della Provincia, bensì del futuro di almeno sessanta famiglie trentine che, come molte altre, non hanno responsabilità per questa crisi economica, e che pertanto meritano tutto l’impegno e l’aiuto possibile.



Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) per quale ragione l’accordo stretto tra Provincia e Sitos Srl, che prevedeva che, in modo progressivo, ai sessanta lavoratori ex Lowara fossero garantite assunzioni, allo stato non viene rispettato nelle tempistiche concordate;

2) come intende attivarsi per fare in modo che detto accordo venga rispettato;

3) entro quali termini ritiene che a tutti i sessanta lavoratori ex Lowara potrà essere assicurato un impiego;

4) se non ritiene urgente, qualora scemassero gli accordi stipulati tra Provincia e Sitos Srl, valutare strade alternative per cercare nuovi impieghi ai sessanta lavoratori dell’ex azienda di Malè.

lunedì 21 settembre 2009

Proposta di mozione : “Enrico Forti è innocente, aiutiamolo”

Dopo appena venticinque giorni di processo sommario, il 15 giugno del 2000, Enrico Forti, imprenditore trentino recatosi all’estero per ragioni di lavoro, venne condannato per omicidio.

L’intera vicenda ha dell’incredibile: costui, secondo la giuria popolare della Dade Country di Miami, sarebbe il mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di Antony Pike, conoscente di Forti a quel tempo in gravi difficoltà economica.

Per comprendere l’inconsistenza delle accuse mosse a Forti, non occorre scendere nei particolari e basta rammentare, com’è stato ampiamente provato, che l’intero contatto tra Forti e Dale Pike è durato appena mezz’ora, che i due non si erano mai incontrati e che l’imprenditore trentino non aveva alcuna ragione per vendicarsi col padre del ragazzo, che, anzi, avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, vale a dire il 18 febbraio, a New York.

Inoltre - a parte il fatto che non è mai stata trovata l’arma del delitto, che nessuno ha mai provato in alcun modo il contatto tra l’assassino di Pike, tutt’ora senza nome, e Forti - ulteriore prova dell’innocenza dell’imprenditore trentino è riscontrabile nel fatto che costui, convocato come persona informata dei fatti poco dopo l’omicidio, si recò spontaneamente e senza avvocato al dipartimento di polizia. Comportamento assai singolare, per un potenziale mandante d’omicidio.

A questo si aggiunga la totale assenza a suo carico, escluse quelle “circostanziali”, la cui inconsistenza è denunciata dallo stesso vocabolo, che rimanda a circostanze, coincidenza, ma certo non a certezze o a fatti.

L’assenza di prove a carico di Forti fu tale che il pubblico ministero locale, Reid Rubin, impiegò ben ventotto mesi per predisporre la sua arringa finale, un vero e proprio record, tipico di chi è costretto a costruire un impianto accusatorio sulle sabbie mobili.

Paradosso finale dell’intera vicenda, fu che la parola finale, al processo, venne concessa proprio al pubblico ministero Rubin, che fu pertanto libero di avanzare la più strampalata delle teorie, consapevole del fatto che né Forti, né il suo avvocato avrebbero potuto opporre replica alcuna.

Questo l’incredibile pronunciamento, dopo appena poche ore di ritiro, della Corte:

“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”.

Non fosse vero, questo terribile responso sarebbe perfetto sulle labbra di un comico televisivo: come può, in totale assenza di prove, bastare una “sensazione” che pur essendo tale appare, non si capisce come, fondata “al di là di ogni dubbio”, al punto di condannare, senza appello, una persona al carcere a vita?

L’intera vicenda, con ogni evidenza, ha dell’incredibile.

Ragion per cui le istituzioni del Trentino – Alto Adige, regione da cui Forti proviene, non possono prolungare la propria indifferenza davanti alla grave condanna comminata senza prova alcuna a un proprio concittadino, e debbono invece sollecitare il Governo Italiano a prendere quanto prima provvedimenti in difesa di un innocente incarcerato a vita.





Ciò premesso il Consiglio regionale della Regione Autonoma Trentino- Alto Adige/Südtirol impegna il Presidente del Consiglio e l’Ufficio di Presidenza



ad adoperarsi, unitamente al Presidente della Giunta, presso le competenti Istituzioni nazionali – Capo dello Stato e Presidente del Consiglio – affinché possa essere chiesta alle Autorità statunitensi quantomeno una revisione del processo che ha visto l’assurda condanna dell’imprenditore trentino Enrico Forti.

Interrogazione sugli effetti dei siti inquinanti presenti in Valsugana

“Qual è l’incidenza dei siti inquinanti presenti in Valsugana sulla salute dei relativi abitanti e quali rimedi tempestivi intende predisporre la Giunta provinciale?”



Se la crisi occupazionale che sta colpendo la Bassa Valsugana pare sia da considerarsi, come si augurano in tanti, un fenomeno temporaneo cui farà seguito un riequilibrio, i danni arrecati negli ultimi anni sul piano ambientale e paesaggistico a quella zona sembrano destinati, purtroppo, a perdurare a lungo.

Ci riferiamo in particolare ai nuovi casi di tumori maligni, leucemie, bronchiti croniche, sindromi di non-Hodgking dei quali si verifica, nella Bassa Valsugana, un costante aumento.

Aumento che con ogni probabilità è da ascriversi a molte e complesse cause, ivi compresa la conformazione stessa della Valle, chiusa e pressoché blindata da venti che potrebbero garantire ricambio atmosferico.

Ma pure l’ingente presenza di industrie e discariche, talvolta illegali e spesso fortemente inquinanti, come documentano inchieste recente, pare costituisca una causa importante delle anzidette patologie.

Nonostante la gravità del problema, vale a dire la sensazione che gli abitanti della Valsugana, stiano scontando sulla loro salute le infauste conseguenze di inquinamenti frutto di speculazioni, dei quali non sono responsabili, manca a tutt’oggi una verifica che censisca e fotografi la situazione.

Sarebbe pertanto tempo che le istituzioni provinciali facessero luce su questo aspetto oscuro quanto inquietante dell’inquinamento in Valsugana.

In questo modo sarà realmente possibile predisporre rimedi concreti ed efficaci che si che a questo punto si fanno sempre più urgenti e indilazionabili.





Ciò premesso, si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) a quanto ammontano, da cinque anni ad ora - e distinti per voci - i nuovi casi di tumori maligni, leucemie, bronchiti croniche, sindromi di non-Hodgking verificatesi presso gli abitanti della Bassa Valsugana;

2) a quanto siano, per l’anzidetto periodo, i casi delle patologie elencate nel precedente punto 1) registrati negli altri Comprensori della Provincia di Trento;

3) se non ritenga utile,qualora le suaccennate rilevazioni evidenziassero per la Bassa Valsugana una quantificazione superiore, predisporre interventi sanitari adeguati per tutelare la salute degli abitanti della Valsugana.

Come mai, a due anni di distanza, manca l'ennesimo regolamento attuativo?

”Come mai, a due anni di distanza, manca il regolamento attuativo che consenta agli imprenditori agricoli la realizzazione di una seconda unità abitativa nell’ambito della medesima impresa ?”



A quasi due anni dall’approvazione della Legge n.1 del 2008, il regolamento attuativo previsto dal terzo comma dell’articolo 63 non è stato ancora licenziato.

Tale regolamento dovrebbe predisporre le modalità mediante le quali stabilire “i casi e le condizioni per consentire l'eventuale realizzazione di una ulteriore unità abitativa nell'ambito della medesima impresa agricola al fine di garantire la continuità gestionale, anche in presenza di ricambi generazionali, nonché per l'utilizzazione di fabbricati esistenti come foresterie per i lavoratori stagionali”, detto regolamento esecutivo non è ancora stato licenziato.

L’assoluta importanza di questo regolamento risiede nel suo ruolo di tutela e promozione della trasmissione generazionale di un’esperienza lavorativa agricola, quella agricola, che unisce tradizione e rispetto per l’ambiente.

Purtroppo, come si diceva, detto regolamento rimane tutt’ora da emanare.

Si tratta di un ritardo assai grave, anche perché è già stato istituito un apposito comitato tecnico e sono già pervenute diverse richieste che, allo stato, non possono trovare risposta proprio per la mancanza di detto regolamento.

Per questa ragione si sollecita la Giunta ad emanare quanto prima il regolamento in parola, in modo che gli imprenditori agricoli possano finalmente beneficiare di quanto la “Pianificazione urbanistica e governo del territorio” approvata prevede per loro, in modo da fornire loro un utile strumento di trasmissione generazionale del loro lavoro, lavoro che a causa dell’industrializzazione degli ultimi decenni risente non poco di un progressivo abbandono da parte dei giovani, che preferiscono sovente costruire altrove il proprio futuro.

Tra l’altro agevolare le imprese agricole e garantire loro un futuro, come ci dimostra l’esperienza intrapresa dal vicino Alto Adige, significa anche promuovere la tutela dell’ambiente, e quindi assicurare un paesaggio degno di questo nome alle nuove generazioni.









Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) per quali ragioni, a distanza di appena mesi, non è stato ancora emanato il regolamento esecutivo cui la Legge n.1 del 2008, all’articolo 63, comma terzo, fa esplicito riferimento;

2) se non reputa grave detto ritardo;

3) in caso affermativo come intende attivarsi per fare in modo che quanto previsto dall’articolo 63 della Pianificazione urbanistica e governo del territorio possa trovare attuazione;

4) entro quali termini;

5) quante domande sono già pervenute al comitato tecnico;

6) quante sono già state prese in esame.

Quali aiuti eroga la P.A.T. alle famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie?”







Le famiglie trentine che decidono di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie, anziché a quelle statali, incorrono in spese talora esorbitanti. Non certo per responsabilità delle scuole paritarie, ma a causa di un sistema scolastico che non realizza a tutt’oggi una reale parità scolastica, a differenza di quanto accade in tutto il resto d’Europa, Grecia esclusa.

Si parla, per render l’idea, di rette che impegnano le famiglie per importi anche di 1.500,00 Euro all’anno, cui vanno aggiunti i costi dei pasti, e che quindi risultano spesso difficili da sostenere.

Anche perché da quel che ci è dato sapere spesso una sovvenzione di 300 euro annui a fronte di detti costi per le famiglie non certo abbienti, risulta essere di ben scarso aiuto.

Ora, ferma restando l’importanza di un valore indisponibile e fondante quale è quello dell’educazione, sarebbe tempo di capire quanto la libertà educativa, espressione cardine di un Paese che voglia dirsi compiutamente democratico, sia effettivamente tutelata e promossa da chi amministra il Trentino.

Non sostenere sufficientemente le famiglie che decidono di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie che - lo ricordiamo, svolgono a tutti gli effetti un servizio pubblico assimilabile a quello erogato dalle scuole statali - rappresenterebbe pertanto uno sfregio alla democrazia.

Tanto più che dette famiglie sollevano le scuole statali da un peso non indifferente.

Infatti, per evidenti ragioni di capienza, queste difficilmente potrebbero ospitare tutti gli studenti oggi iscritti alle scuole paritarie.

Ne va sottaciuto che il costo di ciascuno studente frequentante questa scuola è di gran lunga inferiore al costo di uno studente che frequenta le scuole statali.

Ragion per cui urge far luce su quali forme di sussidio e sovvenzione vengono erogate dalla Provincia alle famiglie che decidono di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie, sollecitando, qualora detti sussidi fossero inadeguati o insufficienti, un loro concreto aumento, sì da essere adeguati al fine di concretizzare davvero il c.d. diritto allo studio.



Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) Quali forme di sussidio e sovvenzione eroga la P.A.T. per le famiglie che decidono di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie ed in base a quali criteri detti sussidi o sovvenzioni vengono erogati;



2) se non ritenga urgente rivedere l’attuale sistema e garantire adeguatezza ai cennati sussidi;



3) se non reputi meritoria la scelta delle famiglie che iscrivono i propri figli alle scuole paritarie, alleggerendo così il carico alle scuole statali, che spesso già versano in situazioni difficili.

Cosa impedisce la realizzazione barriere antirumore per la badia di S. Lorenzo?

Non c’è mai silenzio alla badia di S. Lorenzo, anche se una delle regole monastiche è, com’è noto, il silenzio.

E treni, annunci dagli altoparlanti e traffico nella confinante stazione autocorriere, ai frati di S.Lorenzo, impediscono da tempo anche la possibilità di un riposo sereno.

Certamente, per amore del prossimo, e del proprio servizio pastorale, i frati si sono resi disponibili, sacrificando spesso il loro riposo.

Peraltro, le stesse celebrazioni sono frequentemente disturbata dal fracasso.

E ciò è oltremodo grave, quando si pensa che la semplice installazione delle barriere antirumore toglierebbe detti disagi.

Centinaia di treni al giorno fanno, a dir del vero, la differenza.

Il rumore prodotto distoglie l’attenzione dei fedeli e del celebrante, non consentendo quella profonda comunione di spirito che, in momenti come la Messa, il cristiano cerca. Non basta.

Già anni fa, il Priore della Badia fece propria la richiesta di collocare, lungo il muro perimetrale ad ovest del tempio, una barriera antirumore, dal costo sostenibile. E, a suoi tempo, qualche consigliere comunale provinciale e qualche consigliere comunale portarono le istanze dei frati nei rispettivi Consiglio comunale, incontrando la sordità di chi era al governo della Provincia e della città.

A dir del vero, si è provveduto alla diminuzione dell’inquinamento acustico dei treni con una nuova protezione delle vetrate della Badia, soluzione buona per la stagione invernale, non per quelle – primavera ed estate – che richiedono l’apertura delle finestre.

Il frequente passaggio dei treni e lo sferragliamento continuo disturbano eccessivamente le celebrazioni liturgiche, al punto da sospenderne perfino la continuità.

È indispensabile, vista l’importanza che la celebrazione del rito e il luogo sacro – la Badia di S. Lorenzo, ricca di una storia millenaria – rivestono per tutta la comunità, che pure la Provincia si faccia garante delle tradizioni e della sacralità dei luoghi che, come la Badia, non rappresentano il culto cristiano, ma sono il segno secolare di una profonda testimonianza e di una significativa tradizione.



Ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) se è a conoscenza del problema in questione;

2) in caso affermativo, se ritiene di intervenire tempestivamente;

2) se sì, quali provvedimenti urgenti ha preso al riguardo, visto che l’inconveniente si trascina ormai da anni;

3) come intende limitare l’inquinamento acustico sofferto dai frati che operano nella Badia di S. Lorenzo;

4) se intende finalmente installare le barriere antirumore, come già da tempo

espressamente chiesto da più parti, non ultimo da parte del priore della Badia;

5) in caso di risposta affermativa al punto precedente, entro quale termine verranno installate dette barriere antirumore;

6) come intende tutelare luoghi simili (aventi problematiche analoghe) presenti sul territorio provinciale.

Verbale dell'interrogazione sui costi di "Life Ursus" (merita!!)

SEDUTA ANTIMERIDIANA/POMERIDIANA DEL 16 SETTEMBRE 2009

INTERROGAZIONE N.782/XIV: "Quanto ci costa il progetto Life Ursus?"



PRESIDENTE: Ora passiamo alle ultime due interrogazioni, siamo più o meno in tempo. Il Consigliere Pino Morandini interroga la Giunta affermando:

(Testo interrogazione)

Risponde il Presidente della Giunta : ne ha facoltà.



DELLAI (Presidente della Provincia – Unione per il Trentino): Devo dire che molti di questi dati sono già stati forniti all’aula ed inoltre tutti i dati dei costi e di ogni altra informazione sono nel rapporto Orso 2008 reperibile in rete all’indirizzo www.orso.provincia.tn.it.

In ogni caso, per quanto riguarda i costi del progetto Life Ursus, possiamo dire questo: c’è la prima fase del progetto, dal 1997 al 2000, e il costo per la Provincia è stato di 526.996 euro; la seconda fase del progetto, dal 2001 al 2004, ha previsto un costo di 1.032.93 euro. Queste spese sopra riportate sono state sostenute dal Parco Adamello Brenta nell’arco di otto anni e sono state coperte con il 51% da contributo dell’Unione Europea.

I costi complessivi annui, invece, della gestione ordinaria della specie sono quantificabili attualmente in circa 135.000 euro. Essi comprendono tutte le spese relative all’applicazione di tutti e sei i programmi d’azione, monitoraggio, gestione dei danni, gestione delle emergenze, formazione del personale, comunicazione e quanto altro.

Con particolare riguardo alla gestione dei danni procurati dagli orsi, negli dieci anni sono stati spesi 226.490 euro per l’indennizzo dei danni, 22.646 euro annui e 12.900 euro in opere di prevenzione all’anno.

Per tipologia, come richiesto: 31.068 euro hanno riguardato il patrimonio agricolo, 3.106 euro all’anno; 88.832 il patrimonio zootecnico, 8.832 euro all’anno, 95.864 il patrimonio apistico, 9.586 euro all’anno; 10.725 euro altre fattispecie di danno, cioè 1.072 euro all’anno. Essi sono naturalmente compresi, questi danni, nei 135.000 euro l’anno di cui ho parlato prima.

Infine l’importo liquidato alla compagnia assicuratrice per i danni conseguenti all’investimento di orso ammontano ad euro 4.110. Il personale della Provincia impegnato nel progetto Orso è pari attualmente a circa tre persone a tempo pieno; tre persone in sede pari a 1,7 persone a tempo pieno e ventitre nelle stazioni forestali pari a 1,3 persone a tempo pieno, quindi diciamo che in totale è pari a tre persone a tempo pieno.



PRESIDENTE: Il Consigliere Morandini intende replicare: ne ha facoltà.



MORANDINI (Il Popolo della Libertà): Mi pare che quanto è stato poco anzi documentato dal Presidente della Giunta, relativamente al progetto Life Ursus, si commenti da solo. Cioè qui siamo di fronte ad una spesa sempre più grande, ad una spesa che, penso, non solo si commenta da sola, ma dice che, con tutto il rispetto per il ripopolamento della fauna, questo non è l’habitat, non è più il Trentino l’habitat per gli orsi, lo era forse qualche secolo fa. Lo sarà la Slovenia, lo saranno altre terre in cui i boschi sono a decine e decine di chilometri senza soluzione di continuità interrotti da abitati. Non lo è più il Trentino.

Allora rincorrere, utilizzando personale, qui si è parlato di migliaia di euro, parecchie di migliaia, centinaia di migliaia di euro solamente per il personale, rincorrere orsi... Ci sono amici che vanno nei boschi, incontrano guardie forestali con tanto di apparecchiature elettroniche che debbono inseguire questi orsi. Sappiamo quanto costano le apparecchiature elettroniche, quanto costa il personale, soprattutto il sabato e la domenica costa il doppio, per inseguire degli orsi.

Per non dire poi di tutti i danni che vengono causati evidentemente per loro istinto (non è colpa loro certamente): automobili, animali, greggi, armenti, capre, pecore, etc., alveari e coltivazioni. Qui ormai le migliaia di euro non si contano più. Penso quanto è stato detto, più di 500.000 euro tra il 1997 e il 2000; 1.032.000 euro vuol dire due miliardi di lire circa negli anni successivi; personale vario a tempo pieno con qualche centinaio di migliaia di euro; 335.000 euro costi annui e avanti di questo passo, beh, penso che questo induca a ripensare a questo progetto. Prima di tutto perché non è giustificabile un costo di questo tipo; secondo perché non fa nemmeno bene all’orso in quanto non è il suo habitat; terzo, è notizia proprio di ieri, di un quotidiano locale, che la compagnia assicurativa Faro di Genova, con cui la Provincia aveva contratto una polizza assicurativa di 390.000 annui, ha dato disdetta in vista della scadenza della polizza stessa che sarà il 31 dicembre prossimo. Perché ha dato disdetta? Perché c’è un disavanzo enorme fra il premio assicurativo ed i rimborsi elargiti ogni anno. Per cui il prossimo anno bisognerà rifare tutta la procedura di indizione di nuove gare d’appalto, di riassegnazione...

Presidente, chiedo scusa, ci sono Consiglieri a cui lei ha lasciato anche due minuti oltre il tempo consentito...



PRESIDENTE: Richiamandoli però. Allora richiamo anche lei per farglielo notare.



MORANDINI (Il Popolo della Libertà): È appena finito il mio tempo, sto finendo il ragionamento...



PRESIDENTE: Diciamo che di due minuti è passato uno in più...



MORANDINI (Il Popolo della Libertà): Chiedo almeno una par condicio e finisco.



PRESIDENTE: Almeno che le ricordi che il tempo è scaduto, lo permetterà al Presidente senza doverlo riprendere?



MORANDINI (Il Popolo della Libertà): D’accordo. Dicevo, il prossimo anno bisognerà rifare tutta la procedura di indizione di nuove gare d’appalto e di riassegnazione, partendo dal doppio. Quindi non più una polizza il cui premio era di 390.000 euro all’anno, ma di circa 700.000 euro all’anno. Questo è dovuto alla vicenda orso, con tutto il rispetto per gli orsi.

Quindi io invito il Presidente della Giunta e la sua Giunta a ripensare a questo, perché se ripopolare la fauna costa in questi termini, non solo, ma se ormai l’habitat, come addetti ai lavori hanno dimostrato, è assolutamente fuori luogo, il nuovo habitat del Trentino...



PRESIDENTE: Adesso le chiedo proprio di concludere, Consigliere.



MORANDINI (Il Popolo della Libertà): Si ripensi questo progetto che è assolutamente fallimentare dal punto di vista dei costi.

mercoledì 16 settembre 2009

Non ci sono alternative all’aumento di oltre 100 Euro delle rette degli studenti iscritti alle scuole professionali che usufruiscono d'un posto letto?

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE



Interrogazione



“Non ci sono alternative all’aumento di oltre 100 Euro delle rette degli studenti iscritti alle scuole professionali del Trentino che usufruiscono di un posto letto?”



Della crisi economica che da mesi affligge gli italiani le istituzioni trentine sembrano non interessarsi al punto che, anziché erogare sussidi, giungono talvolta col disporre aumenti.

E’ il caso della nuova disciplina transitoria che prevede l’aumento da 78 a 200 euro delle rette degli studenti iscritti le scuole professionali del Trentino che usufruiscono di un posto letto.

Dal momento che non si tratta di un semplice aumento, bensì d’una sostanziale triplicazione della retta in parola, e giacché le famiglie che iscrivono i propri figli alle scuole professionali molto spesso sono di un ceto sociale meno facoltoso rispetto a quelle che possono assicurare ai loro ragazzi studi liceali con conseguente laurea, quanto disposto dalla nuova disciplina appare francamente inaccettabile.

Tra l’altro, urge sottolineare che gli studenti iscritti alle scuole professionali, con la loro scelta di studi, si candidano a svolgere impieghi di strategica importanza per il Trentino e non solo, impieghi che la maggioranza dei loro coetanei non vuole più svolgere, ma che conservano una grande dignità e rilevanza sociale.

Tornando all’aumento della retta, ha poca importanza, come si premurano di ripetere taluni, che il nuovo sistema di tassazione preveda di fatto un rimborso tramite assegno di studio per gli studenti che, a fine anno, hanno raggiunto buoni risultati.

Il punto è che con questo nuovo sistema di tassazione, che giunge nel bel mezzo di una stagione infausta per l’economia planetaria, di fatto si costringono famiglie non facoltose che vogliono i propri figli iscritti alle scuole professionali, a sborsare anticipatamente una somma quasi triplicata rispetto a quella fissata fino ad oggi.

Sarebbe auspicabile, da parte dell’Assessore competente, una verifica approfondita di tutte le alternative possibili, in modo da evitare alle famiglie trentine che decidessero di iscrivere i propri figli le scuole professionali usufruendo di un posto letto, aumenti pesanti come quelli descritti poc’anzi.



Ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) se non reputa esagerato l’aumento da 78 a 200 euro delle rette degli studenti iscritti le scuole professionali del Trentino che usufruiscono di un posto letto, ancorché temperato dalla possibilità di un rimborso tramite assegno di studio per i più diligenti;

2) se non crede che gli studenti che scelgono le scuole professionali, rispetto ai loro coinquilini indirizzati a studi liceali, compiano una scelta coraggiosa e si candidino, in un futuro prossimo, a svolgere mansioni altrimenti in abbandono ma preziose per la comunità;

3) in caso affermativo, come intende attivarsi per supportare la scelta di studio di questi giovani e delle loro famiglie.

Interrogazione:“ Comun General de Fascia: perché non riconoscere il valore sociale della famiglia?”

Trento 15/9/09

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE



Interrogazione



“ Comun General de Fascia: perché non riconoscere il valore sociale della famiglia?”




L’importanza della famiglia, come documentato da molteplici studi e da innumerevoli trattazioni filosofiche, è fondamentale.

Il nucleo famigliare, infatti, non solo rappresenta l’opportunità educativa e formativa più idonea alla crescita – Tommaso d’Aquino, non a caso, la chiamava “utero spirituale” – ma costituisce anche il pilastro fondamentale della nostra società, anche sotto il profilo economico.

Nonostante i continui tentativi di ridimensionare l’importanza della famiglia, il sociologo francese Jean Stoetzel ricorda come “da più di mille anni l’essenziale struttura che caratterizza l’istituzione famigliare occidentale è rimasto inalterata: la parentela è bilaterale, l’organizzazione matrimoniale resta monogamica; il gruppo famigliare è sempre composto dalla coppia sposata e dai loro figli”.

Insomma, la famiglia è la vera protagonista della storia dell’umanità.

I Padri costituenti, ben consapevoli di questo, nella stesura della Costituzione dedicarono alla famiglia un articolo, il 29, dalla lettura del quale si evince con chiarezza come la famiglia, al pari della persona umana, sia da considerarsi entità pre-politica, da salvaguardare cioè come bene che anticipa, che viene prima della stessa Repubblica.

E nei cui confronti la Repubblica – a partire dalle pubbliche Istituzioni – ha il dovere di predisporre provvedimenti che ne valorizzino le funzioni sociali e che rimuovano gli ostacoli di ordine sociale che ne impediscono il pieno sviluppo.

Ciononostante , accade che la rilevanza anche costituzionale della famiglia sia trascurata dalla politica.

Basti ricordare che, mentre la Gran Bretagna indirizza il 6,8% della propria spesa sociale alla famiglia, la Francia il 9,2 %, la Germania addirittura il 10,2%, l’Italia è ferma ad un desolante 3,7%.

Anche in Trentino, tocca annotare, non mancano casi nei quali la famiglia sia oggetto di dimenticanza.

Uno di essi è quello del Comun General de Fascia, comprensorio Ladino di Fassa, nella cui bozza di statuto, nei primi articoli, quelli più importanti perché inerenti le finalità, manca proprio un riferimento alla famiglia.

Quello del Comun General è un precedente grave, al quale occorre porre tempestivamente rimedio per le suesposte ragioni.

Tanto più in una terra, quella di Fassa, la cui comunità si è sempre distinta per senso della famiglia e cultura dei valori e delle tradizioni locali.



Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) se è a conoscenza del fatto che nella bozza dello Statuto del Comun General de Fascia sia assente, tra le finalità, la promozione sociale della famiglia ;

2) se non giudica questa una grave omissione;

3) se intende ovviare a siffatta omissione;

4) in caso affermativo, in quale modo;

5) se non reputa opportuno vigilare affinché in tutti gli statuti delle comunità di valle, la promozione della famiglia risulti tra gli obbiettivi fondamentali.



A norma di regolamento si chiede risposta scritta.

Interrogazione:“Urge istituire, anche in Trentino, la copertura previdenziale del periodo di assistenza ai familiari non autosufficienti”

Trento, 25/8/2009





Al Presidente del Consiglio regionale

Marco Depaoli

SEDE





Proposta di mozione



“Urge istituire, anche in Trentino, la copertura previdenziale del periodo di assistenza ai familiari non autosufficienti”




La Legge regionale n.1 del 18 febbraio 2005, denominata da chi governa la Regione “Pacchetto famiglia e previdenza sociale”, prevede, all’articolo 2, l’intervento finanziario della Regione stessa al fine di garantire la copertura previdenziale a chi assiste familiari non autosufficienti.

Rappresenta una misura di doveroso sostegno alle persone che prestano della preziosa assistenza oltreché di necessaria attenzione alle famiglie che scelgono, senza gravare nelle strutture pubbliche, di assistere i propri congiunti non autosufficienti.

In tal modo, accollandosi non solo il non facile compito di assistere in casa i propri congiunti, ma pure inducendo un consistente risparmio di pubblico danaro, se si pensa a quanto il costo per l’assistenza in una Casa di Riposo.

Peccato che detta copertura previdenziale, secondo quanto disposto dall’art. 9 del D.P. Reg. 4 giugno 2008, n.3/L, sia assente nella provincia di Trento. E questo nonostante quella copertura sia prevista dalla citata Legge regionale 1/2005 e debba quindi attuarsi in entrambe le Provincia, ivi compresa quella di Trento.

E’ un vuoto, quello in parola, che indubbiamente colpisce numerose famiglie che, di quella copertura previdenziale, avrebbero un gran bisogno, per essere sostenute nella cura e custodia dei loro cari non autosufficienti. E che ricade negativamente in modo particolare sulle persone specificamente impegnate nella relativa assistenza.

Ragion per cui si ritiene quanto mai opportuno, oltre che urgente, che si provveda pure in Trentino, a rendere disponibile il contributo da erogarsi nei periodi di assistenza a familiari non autosufficienti. Anche perché siffatta provvidenza è prevista da una legge regionale in vigore ormai da quasi cinque anni, che attende allora di essere attuata per questa sua parte, anche per il rilievo sociale che essa riveste.



Ciò premesso il Consiglio regionale impegna la Giunta a:



1) rivedere con urgenza il regolamento attuativo della Legge regionale n.1 del 18 febbraio 2005, al fine di dare esecuzione anche alla copertura previdenziale anche per chi assiste persone non autosufficienti in modo che, anche in Trentino, le famiglie che decidono di gestire autonomamente un congiunto non autosufficiente lo facciano con un adeguato sostegno;

venerdì 11 settembre 2009

Quanto sono costati ai trentini tredici anni di “Life Ursus?

Preg.mo signor
Giovanni Kessler

Presidente del Consiglio Provinciale
SEDE
INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA


“Quanto sono costati ai trentini tredici anni di “Life Ursus?”

Avviato a partire dal 1996, il Progetto Life Ursus, sorto al fine di tutelare la popolazione di orso bruno del Brenta, ha impegnato attivamente le istituzioni del Trentino sia nell’impiego di personale utilizzato per vigilare sui plantigradi, sul loro stato di salute e sui loro movimenti, sia nel rimborso dei danni arrecati da questi ad animali, coltivazioni, automobili ed alveari.

Si interroga pertanto l’Assessore competente per sapere di quante unità di personale si ci si è avvalsi e quanto esso sia costato dall’inizio del progetto, e a quanto ammonti il totale complessivo e distinto per voci dei rimborsi erogati in seguito ai danni procurati dai plantigradi ad animali, automobili, alveari e coltivazioni, dall’inizio del Progetto ad oggi.



Il Consigliere provinciale

Pino Morandini

Come mai, a due anni di distanza, non sono state effettuate le assunzioni per gli operatori d’emergenza del 118 previste nella delibera 2096?

Trento 26/8/09



Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE





Interrogazione



“ Come mai, a due anni di distanza, non sono state effettuate le assunzioni per gli operatori d’emergenza del 118 previste nella delibera 2096?”



Con l’approvazione della delibera n. 2096, avvenuta il 28 settembre 2007, la Giunta provinciale predispose la dotazione organica di n. 7 posti di autisti STI (categoria BS).

Peccato che, a distanza di ben due anni, quella disposizione sia rimasta del tutto inapplicata.

E per tentare di supplire ai bisogni del personale del 118 in parola, si è provveduto con l’inserimento, nell’organico di Trentino emergenza, 9 operatori OSS che, come dice lo stesso acronimo, non sono infermieri, ma personale formato per un lavoro specifico che lo stesso loro mansionario prevede.

Naturalmente, nulla contro il personale OSS, che svolge prezioso funzioni in vari ambiti.

Ciò che qui si intende rilevare è l’utilizzo improprio, in certe situazioni, di detto personale.

La legge nazionale, con il DPR 220/2001 che disciplina i concorsi del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale all’art. 26, prevede per l’assunzione di personale appartenente alla categoria BS i seguenti requisiti:

1. diploma di istruzione secondaria di primo grado o assolvimento dell’obbligo scolastico:

2. cinque anni di esperienza professionale acquisita nel corrispondente profilo professionale presso pubbliche amministrazioni o imprese private;

3. possesso di specifici titoli e abilitazioni professionali o attestati di qualifica di mestieri necessari allo svolgimento dell’attività inerente il profilo professionale messo a concorso, individuati in relazione alle esigenze organizzative dell’azienda ed indicati nel bando

Il 29 ottobre 2007, inoltre, l’ARAN ha chiarito con propria nota che i cinque anni di esperienza nel corrispondente profilo professionale non potrà che essere realizzata nell’ambito di un rapporto di impiego.

Pertanto, i requisiti richiesti per l’assunzione di personale con la qualifica di operatore tecnico autista-soccorritore sono i seguenti:

1. diploma di istruzione secondaria di primo grado o assolvimento dell’obbligo scolastico;

2. cinque anni di impiego lavorativo come autista-soccorritore acquisito presso pubbliche amministrazioni o imprese private o associazioni di volontariato;

3. possesso della patente B e del corso di formazione come previsto dall’accordo della conferenza stato regioni del 2003.

Anche il sindacato CISL FPS, nel novembre di quell’anno, ha denunciato l’utilizzo improprio degli OSS da parte di Trentino Emergenza. Il verbale redatto a cura dell’Azienda Sanitaria di Trento afferma che: “gli OSS sono stati inseriti nella U.O. TE 118 solo in via transitoria, nelle more e sino a completamento delle procedure di assunzione per la copertura dei posti vacanti in organico di infermiere”. Inoltre si scrive anche che “gli OSS non vengono impiegati per sostituire equipaggio con l’infermiere”.

Da tenere presente anche l’incremento di lavoro nel settore: se di giorno c’è l’integrazione al 118 Trentino Emergenza con personale di varie Associazioni di volontariato, di notte le ambulanze dedicate al bisogno solo due.

Numero assolutamente insufficiente, considerato che debbono coprire anche zone non di loro competenza (vedi Rovereto, Mezzolombardo, Pergine)

E’ emerso poi da studi fatti in base anche agli usi specifici dei presidi in dotazione ai mezzi di emergenza, che l’ideale sarebbe operare in tre unità: un infermiere e due tecnici del soccorso.

E’ un vuoto, questo, che non solo frena il mercato del lavoro, che avrebbe possibilità di vedere disponibili nuove assunzioni, ma che finisce anche col costituire una grave minaccia alla salute dei cittadini, che in caso di gravi emergenze si troverebbero assistiti da un servizio pubblico in grave carenza operativa.

Quanto alla possibilità di operare le nuove assunzioni previste già da due anni dalla già citata delibera n. 2096, si fa presente come queste, se decise, con ogni probabilità darebbero lavoro a quel personale già attualmente in servizio come volontario presso altri organismi (Croce rossa, Croce bianca, Croce verde, solo per fare alcuni esempi)-

Detto personale che quindi avrebbe non solo il titolo, ma anche la necessaria esperienza per adempiere compiutamente all’incarico di operatore d’emergenza presso il 118.

Dal momento che l’ultimo concorso per l’assunzione risale ad oltre dieci anni addietro, e precisamente al 1996, e che esiste un reale bisogno di aggiornare il personale in servizio presso il 118, che gode oggi di operatori che entro pochi anni saranno avviati al pensionamento, non si vede ragione per la quale la Giunta non dovrebbe provvedere tempestivamente a dare attuazione a quanto approvato ancora due anni addietro.





Ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:





1) per quale ragione, a distanza di due anni dall’approvazione della delibera n. 2096, non è stata ancora disposta l’assunzione di operatori presso il 118, fatto che esclude gli autisti-soccorritori delle Associazioni di Volontariato dalla possibilità di essere assunti dalla stessa attraverso un concorso, in quanto di fatto li sostituisce con gli OSS.

2) se non reputa urgente attivarsi per porre rimedio a questo grave ritardo;

3) in caso affermativo rispetto a quanto richiesto nel precedente punto 2), entro quale termine sarà bandito un concorso per dette assunzioni;

4) se non crede che due sole autoambulanze in servizio nella zona di Trento e dintorni, che conta quasi 300.000 abitanti, siano gravemente insufficienti per garantire un’adeguata assistenza sanitaria;

5) come intende ovviare a questa grave carenza.

venerdì 4 settembre 2009

RISPOSTA A RASPADORI

Mi pare doveroso in un certo qual senso “deludere” Raspadori, rammentandogli che fra i quattro fessacchiotti che rappresentano quello sparuto drappello che ancora crede nel matrimonio, rientra pure il sottoscritto. Temo non sia molto rilevante nella costruzione, magari anche un po’ realista (purtroppo) epperò arbitraria, che il nostro ha elevato per l’occasione, nei confronti di quell’istituto.

Insomma, assieme a Gubert, ed a qualcun altro, sarei tra i pochi ad opporsi all’orda inarrestabile che Raspadori vede come l’ineluttabile destino che ci attende.

Meglio, che già è vigente.

Sul fatto se poi ciò sia bene o male, a quanto pare, egli non prende posizione, seppur pare di cogliere che tutto questo movimento sociologico-antropologico non gli dispiaccia poi molto. Mi siano consentite alcune osservazioni.

Innanzitutto, credo che l’autore, più o meno coscientemente, passi da un piano di quieta descrizione della realtà ad un piano “prescrittivo”, ossia che mira a vedere come cogente e vincolante lo stato di cose che maggioritariamente va affermandosi.

In buona sostanza, poiché, a suo dire, la gran maggioranza preferirebbe soluzioni diverse dal matrimonio, si prenda atto che è così e ci si adegui di conseguenza. Vorrei far presente che l’anello debole di questa situazione sono normalmente i figli. Ad essi primariamente i legislatori debbono guardare, non certo discriminando i figli nati fuori dal matrimonio da quelli nati al suo interno, ma pensando via generale (come legislatori) quale sia il tipo di legame che da maggiore stabilità affettiva e relazionale alla prole.

Credo che lo svanire del matrimonio “classico” vada inteso in maniera assai diversa dal come lo intende il mio virtuale interlocutore. A mio avviso, rappresenta un preoccupante fenomeno di disgregazione della società che non penso comporti molti esiti positivi. Sui figli, innanzitutto.

Ritengo che la famiglia sia, razionalmente prima ancora che giuridicamente e/o fideisticamente, da concepire come il fulcro della società. Per le ovvie funzioni sociali che essa svolge ma anche come luogo della piena realizzazione e compenetrazione degli sposi, in una stabilità non opportunistica o effimera. E credo che quest’aspirazione non sia sottaciuta, anzi, tutt’altro, in questo frangente storico. Come non può certo dirsi smentita da affermazioni che facciano leva sulla “fatica” o sul sacrificio che i nostri nonni possono giustamente raccontarci.

Innanzitutto si riferiscono ad una mentalità molto diversa. In secondo luogo, non riesco a concepire un’esperienza umana che non contempli al suo interno pure del sacrificio. Insomma, tutti più o meno qualche sofferenza la incontriamo. Ed anche profonda. Sia chiaro, non sto certo lodando il dolore, bensì affermando, se si vuole, una banalità, ossia…che tutti più o meno si soffre.

Ritengo siano sopratutto cause culturali, per sviscerare le quali non basterebbero enciclopedie, che contribuiscono alle male fortune del matrimonio. Ma che vi siano pure delle circostanze di cui la politica troppo raramente si fa carico.

Sorvolando sul fatto che, se due si sposano o stanno assieme in altro modo, una qualche pretesa di stabilità l’avranno, a differenza di quanto previsto da Raspadori, credo che spesso questa società disintegri i propositi matrimoniali per ragioni assai concrete.

I giovani faticano a trovare un lavoro stabile e, spesso per raggiungere livelli retributivi che consentano una vita dignitosa, devono passare anni, se non decenni. Le banche non facilitano il desiderio di una casa con i loro requisiti strettissimi per accendere i mutui, sovente contrassegnati da tassi molto molto alti. Il mondo del lavoro poi pretende moltissimo tempo, il che, se sommato alla necessità di godere degli introiti di due stipendi (altrimenti a fine mese non ci si arriva), inizia a delineare un quadretto sociale tutt’altro che roseo. Del quale la politica spesso si disinteressa bellamente.

E’ ovvio allora che, stando così le cose, pochi pensino di affrontare una scelta matrimoniale.

Meraviglia che Raspadori abbia sostanzialmente ignorato tutto questo, per andare a sfrugugliare nei divorzi o in altre tristi vicende, che non intendo certo giudicare.

La politica ha sicuramente le sue responsabilità.

Deve licenziare provvedimenti concreti, da cui emerga una concezione dell’istituto matrimoniale e, prima ancora, della persona umana, come centro di diritti da promuovere e rispettare, e non una visione strumentale, sia essa al servizio di un marito – padrone o di una società malata di frenesia produttiva.

Ma anche coloro che cercano di fare cultura, come Raspadori, hanno le proprie responsabilità. Ai giovani va trasmessa la concreta speranza, comprovata dai fatti e dall’esperienza di tante coppie, che è davvero possibile un amore duraturo, profondo, pulito, che resista alla prova dei decenni: perché è più grande ciò che unisce di ciò che divide; perché amarsi davvero dice il “per sempre” come sua intima essenza; perché accettarsi reciprocamente nei propri limiti e volersi bene nonostante questi, evidenzia la realtà, e cioè che nessuno brilla di perfezione.

Pino Morandini

martedì 1 settembre 2009

interrogazione:Discariche abusive: quale collaborazione della P.A.T con i comuni interessati?

Trento 28/8/09

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE





Interrogazione



“ Discariche abusive: quale collaborazione della P.A.T con i comuni interessati?”



Il prolungato silenzio delle istituzioni provinciali sulle discariche abusive, piaga che da tempo affligge alcune zone del Trentino minacciandone seriamente il patrimonio ambientale, sta inducendo le amministrazioni comunali interessate a muoversi in autonomia, anche ricorrendo a vie legali.

E’ il caso, ad esempio, di Borgo Valsugana, dove il Sindaco ha annunciato che il Comune si costituirà parte civile in ordine allo smaltimento di rifiuti e scarti industriali riguardanti due ex discariche comunali.

La situazione sopraccitata, purtroppo, non è un caso isolato.

Basti pensare all’ex cava del Monte Zaccon, sito che avrebbe dovuto essere fatto oggetto di ripristino, e che invece, come sappiamo, è divenuto una pattumiera a cielo aperto, crocevia di centinaia di passaggi di camion.

Ora, è evidente che se la certificazione della responsabilità per questi danni ambientali spetta alla sola magistratura, quest’ultima, come pure i Comuni interessati, debbono - nella loro lotta per il ripristino dei siti trasformati illegalmente in luoghi di deposito di rifiuti inquinanti – poter godere della più ampia collaborazione da parte delle istituzioni provinciali, che non sembrano gran che solerti.

Urge pertanto che la Giunta, per bocca dei propri rappresentanti, attivi ogni efficace opera di collaborazione attiva con gli organi suddetti, al fine di contribuire quanto prima a fare chiarezza su una vicenda che si sta sempre più profilando quanto mai grave e preoccupante: quella relativa alla possibile (probabile?) presenza, specie in Valsugana, di discariche trasformate in depositi di rifiuti altamente inquinanti e quindi illecite.

Si sta attendendo con ansia l’operato della Magistratura, che a questo punto si rivela quanto mai importante e prezioso. Proprio per questo, a detto operato, va offerta da parte delle pubbliche Amministrazioni, a parte dalla Provincia Autonoma, la più ampia ed adeguata collbarioazione.



Ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:



1) quante discariche, da un anno a questa parte, sono state scoperte come siti oggetto di deposito e smaltimento di rifiuti di probabile tasso inquinante e quindi quantomeno di dubbia liceità;

2) quante bonifiche, allo stato, risultano trasformate in aree di scavo di materiali inerti;

3) quali forme di collaborazione la Provincia intenda avviare sia nei confronti dei Comuni colpiti dalla presenza dei siti inquinanti sia al fine di contribuire a fare chiarezza sull’intera vicenda; da queste iniziative criminali;

4) entro quali scadenze intende farlo;

5) se sussistano ricerche o studi scientifici, o se siano in corso, relativamente al grado di incidenza di detti siti inquinanti sulla salute dei cittadini.

A norma di regolamento si chiede risposta scritta.

Interrogazione:Era davvero necessario spendere mezzo milione di euro per 320 m di pista ciclabile a Villazzano?

Trento 7 /8/09

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE

Interrogazione

”Era davvero necessario spendere mezzo milione di euro per 320 m di pista ciclabile a Villazzano?”

La pista ciclabile o un tratto di essa che verrà costruita a Villazzano, la cui realizzazione è tutt’ora in corso, pare che implicherà spese a dir poco spropositate.

Infatti,pare che per soli 320 metri di pista, il relativo costosi aggirarsi sul mezzo milione di euro, vale a dire un miliardo delle vecchie lire, somma di danaro a tutti gli effetti astronomica rispetto, lo ripetiamo, alla realizzazione di un servizio che, per quanto possa essere utile, non pare assolutamente giustificare siffatta spesa

Sorgono pertanto legittime curiosità sulla natura di una spesa così impegnativa, curiosità sulle quali, i cittadini in particolar modo, avanzano richieste di chiarimenti che le istituzioni sono tenute a fornire.

Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:

  1. se corrisponde al vero che per una pista ciclabile – o un tratto di essa – a Villazzano, sia necessaria una spesa di circa mezzo milione di euro;
  2. se non reputa esagerata detta spesa;
  3. a quali ragioni è dovuta l’entità di questo ingente esborso di danaro pubblico;
  4. a chi sono stati assegnati i lavoro dell’opera in parola, ed in base a quali procedure si è pervenuti alla scelta dell’assegnatario (o degli assegnatari);
  5. quali preventivi di spesa, prima di detta assegnazione, sono stati vagliati.
A norma di regolamento si chiede risposta scritta.

Interrogazione:Quand’è che i tuffatori trentini potranno allenarsi in provincia

Trento 7/8/09

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE


Interrogazione

“ Quand’è che i tuffatori trentini potranno allenarsi in provincia?”



Fino a pochi decenni addietro, i pochi Trentini che volevano imparare a nuotare andavano alla piscina comunale che sorgeva a metà del lato Nord di via Madruzzo, dove adesso c’è - a suo umile ricordo – il Vicolo del Nuoto.

Si trattava di una struttura palesemente inidonea per chi volesse allenarsi.

Orbene, nonostante quei palesi limiti strutturali, in quella piscina riuscì ad allenarsi il tuffatore Klaus Dibiasi, oggi riconosciuto, insieme a Giorgio Cagnotto, il miglior atleta italiano di tutti i tempi in questa specialità.

Nonostante i successi di Dibiasi, però, le tanto attese strutture dove i tuffatori potessero allenarsi non furono mai realizzate in Trentino.

Nonostante questa grave deficienza strutturale, tuttavia, oggi si celebrano i successi mondiali delle atlete Francesca Dallapè e Tania Cagnotto, segno che il talento dei tuffatori, gli atleti delle nostre zone, ce l’hanno nel sangue.

Ma è assurdo che atleti di questi livello, per ultimare la loro preparazione, debbano ricorrere alle strutture di Bolzano.

La nostra provincia non può più permettersi, a questo proposito, di accumulare ritardo: deve quanto prima predisporre, per gli amanti del tuffo, strutture che possano consentire loro di allenarsi.

Anche perché non sembra, a detta gli addetti ai lavori, che siffatte strutture comportino lavori o costi esorbitanti: sarebbero sufficiente l’installazione di un paio di adeguati trampolini, utilizzando la piscina già operante.

Ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:

1. se non ritenga urgente predisporre quanto prima la realizzazione di strutture idonee agli atleti trentini che vogliano impegnarsi a livello agonistico nella disciplina dei tuffi al fine di metterli nella condizione di poterlo fare in modo sicuro ed adeguato evitando in tal modo di doversi sistematicamente recare fuori provincia per coltivare efficacemente quella disciplina;
2. in caso di orientamento affermativo con riferimento al punto 1), entro quali tempi ritiene che dette strutture possono essere operative.



A norma di regolamento si chiede risposta scritta.

Interrogazione:Perché le agevolazioni nei trasporti previste per i turisti sono negate ai trentini?

Trento 8/6/09

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE


Interrogazione

“ Perché le agevolazioni nei trasporti previste per i turisti sono negate ai trentini?”

Posto che è del tutto condivisibile una politica di promozione del turismo, che miri ad agevolare anche sul piano economico il trasporto di chi viene a soggiornare temporaneamente in Trentino, si fatica tuttavia a comprendere per quale ragione siano stati predisposte, per i turisti, forme di agevolazioni dalle quali sono paradossalmente esclusi i trentini.

Infatti mentre i turisti, per il transito sui pullman a servizio turistico mobilità vacanze, pagano un biglietto giornaliero con i quale, se credono, possono usufruire pure degli autobus di linea provinciali, i trentini in possesso dell’abbonamento annuale sulle corse di linea, per salire sui pullman a servizio turistico, debbono munirsi di biglietto, naturalmente a pagamento.

Si tratta evidentemente di un trattamento iniquo, al quale sarebbe urgente porre rimedio, se non altro se si pensa che coloro si servono dei mezzi di trasporto pubblico di fatto contribuiscono in maniera efficace a snellire il traffico e, a ridurre le emissioni inquinanti, benefici che non sussisterebbero se gli stessi utilizzassero il proprio mezzo di trasporto.

Chi si serve dei mezzi pubblici, inoltre, merita particolare attenzione perché, molto spesso, si tratta di persone anziane o comunque in condizioni economiche precarie.

Ciò premesso si interroga l’assessore competente per sapere:



1. se non giudica iniqua la disparità di trattamento che consente ai turisti muniti di biglietto giornaliero di servirsi indistintamente dei pullman a servizio turistico e degli autobus di linea provinciali, mentre costringe i cittadini trentini in possesso di abbonamento annuale, che vogliano usufruire dei pullman a servizio turistico a pagarsi il biglietto;
2. in caso di risposta affermativa, se non reputi urgente attivarsi per fare in modo che, d’ora in poi, detta disparità di trattamento sia sanata, consentendo anche a chi risiede in provincia e fosse già in possesso di abbonamento annuale, la possibilità di servirsi dei pullman a servizio turistico, tanto più che queste persone hanno intrapreso il comportamento virtuoso dell’utilizzo di mezzi pubblici di trasporto.



A norma di regolamento si chiede risposta scritta.

Risposta all'assessore sulla Ru 486

Non metto in dubbio, egregio Direttore, la buona fede dell’Assessore provinciale alle Politiche sociali e per la salute, ma trovo laicamente contraddittorie e superficiali le sue affermazioni in ordine all’autorizzazione per l’utilizzo e la diffusione della pillola abortiva RU486.

In primo luogo, perché tacciare di demagogia e strumentalità l’iniziativa di un Gruppo consiliare (il Pdl) che ne richiede la sospensione con dati scientifici alla mano – tanto più forniti dalla stessa azienda produttrice del prodotto (la francese Exelgyn) - configura un atteggiamento che si commenta da solo, su cui nulla aggiungo per non scendere nella polemica (l’argomento è troppo serio).

In secondo luogo, perché non appare credibile l’affermazione assessorile per la quale la Provincia sarebbe tenuta ad ottemperare al parere dell’Azienda Italiana del Farmaco (Aifa) che ha autorizzato la commercializzazione della RU486.

Questa Provincia si è permessa di dissociarsi dalla riforma Gelmini accampando le propria potestà autonomistiche; si è distanziata dal divieto nazionale di somministrazione di bevande alcoliche pure facendo leva sulla propria autonomia, e ci vuol far credere che sulla pillola abortiva è tenuta ad ottemperare pedissequamente alle decisioni nazionali. Che, vorrei notarlo, non sono nemmeno espresse con legge, ma unicamente attraverso un parere di un organismo tecnico, la citata AIFA. Se a ciò si aggiunge che in materia sanitaria la Provincia dispone dell’identica competenza riconosciutale in materia di scuola, il suo contraddittorio atteggiamento emerge chiaramente.

Quanto poi alla dichiarazione dell’Assessore di voler “applicare laicamente la legge”, faccio notare che ciò che lui dice di applicare non è la legge, ma un semplice parere, che fra l’altro è proprio in contrasto con la legge. Questa è tenuto ad applicare, la legge 194/’78, ed essa all’art.8 prevede che l’aborto debba avvenire all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata convenzionata.

Poiché la donna, che con l’assunzione della RU486, potrebbe espellere il figlio anche due settimane dopo quell’assunzione, dovrebbe essere trattenuta in ospedale tutto il tempo necessario; diversamente, verrebbe meno la tutela della sua salute e sarebbe violata proprio la legge.

E che dire di questo aggiramento del Parlamento attraverso un semplice parere su un tema così fondante com’è quello di specie? Perché chi ha invocato il coinvolgimento del Parlamento sul tema dell’immigrazione, oggi tace su un tema così vitale, per madri e figli?

E, poi, Assessore, “laicità”non significa cultura e rispetto dei diritti umani, a partire da quelli fondamentali, aiutando invece concretamente, come istituzioni, le madri che fanno fatica?

Fin qui, argomenti laici.

Non posso peraltro, conclusivamente, pensare, dialogando con un cattolico, allo Statuto del PATT, il cui riferimento cardine è alla dottrina sociale della Chiesa. E’ notorio che quella che pone la tutela del nascituro come primissimo compito della società e della politica.

Forse che le funzioni di Assessore consentono di abdicare da siffatto valore “non negoziabile” al punto di disapplicare la legge ed applicare un semplice parere che la viola?

Mozione Franchigia da rivedere per case I.T.E.A.

CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Gruppo Consiliare Il Popolo della Libertà

Trento, 8/7/2009

Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE

Proposta di mozione

“Franchigia da rivedere per le case Itea”

Secondo un censimento del 2007, gli inquilini che alloggiano presso le case Itea sono oltre ventimila. Ora, benché questa cifra possa apparire importante, in termini percentuali si tratta di un numero esiguo se raffrontato a quello complessivo di coloro che avanzano richiesta di alloggio pubblico: le assegnazioni totali, infatti, sono circa il 12% delle oltre cinquemila richieste che ogni anno pervengono ad Itea spa.

Questo significa che la fascia di cittadini interessati ad un alloggio pubblico subisce una pesante penalizzazione da una selezione che, di fatto, accontenta appena una ristretta minoranza di famiglie.

A questa selezione, restrittiva al punto da apparire quasi iniqua, si aggiunge, per i beneficiari degli alloggi pubblici, una regolamentazione altrettanto penalizzante.

L’ingiustizia della legge, infatti, è sotto gli occhi di tutti e in più occasioni, fin dalla sua approvazione, chi scrive si è premurato di rappresentarne in motivi. Ma anche sul versante dei provvedimenti amministrativi, siffatta iniquità emerge. Basti pensare al parametro Icef, più volte contestato in questi anni, anche proponendo misure sostitutive.

La Giunta provinciale ha finalmente deciso di rivedere quel parametro, approntando una deliberazione che aumentasse la franchigia in modo tale – come più volte abbiamo richiesto – da non colpire il comportamento virtuoso del risparmio.

Fino ad oggi, sono state esentate fiscalmente solo le famiglie che aventi risparmi uguali o inferiori a 20 mila euro.

Orbene, anche senza consultare tabelle e statistiche, si può comprendere come una simile franchigia finisca per scoraggiare un comportamento che invece meriterebbe di essere incentivato in quanto lodevole, ovvero quello del risparmio.

Beninteso: non si sta parlando di risparmi di chissà quale entità, tipici di nuclei famigliari economicamente facoltosi e pertanto non interessati agli alloggi pubblici, bensì di quelle poche decine di migliaia di euro che, legittimamente, anche cittadini di ceto medio, specie se lavoratori da decenni, possono aver messo da parte, magari con la speranza di offrire qualche garanzia futura in più a figli e nipoti.

Deve esser precisato che innalzando il livello di franchigia, fissandolo per esempio a 40 mila euro, diversamente da come si vuole far credere, non si attuerebbe affatto un’agevolazione nei confronti di cittadini ricchi o, peggio ancora, di chi imbroglia evadendo il fisco.

Ciò è facilmente dimostrabile sulla base di due elementari considerazioni.

La prima: qualificare come ricco un nucleo famigliare che abbia risparmi superiori a ventimila euro significa ignorare i parametri – che sono ben altri - che effettivamente qualificano una famiglia come abbiente.

La seconda: i lavoratori in proprio sono appena il 5,2% dei cittadini alloggiati presso case Itea; questo significa che se, per assurdo, questi fossero tutti incalliti evasori fiscali – si tratta, con ogni evidenza, di una follia – un provvedimento che innalzasse la franchigia, posto che chi evade il fisco già ora elude norme beneficiando indebitamente di privilegi, forse faciliterebbe la vita a qualche truffatore, ma i maggiori beneficiari sarebbero comunque cittadini per forza di cose in regola con la dichiarazione dei redditi quali soni gli impiegati e gli operai.

Particolare attenzione, inoltre, andrebbe rivolta alle famiglie tra i cui componenti vi sia un disabile grave, alle quali oggi viene riservato un trattamento del tutto iniquo, che sottovaluta di molto la difficoltà che comporta un famigliare non autosufficiente.

Assodata l’importanza di ritoccare la franchigia, una riforma ragionevole in proposito, come suggerito da più parti, sarebbe quella di raddoppiarla, fissando a quarantamila euro il tetto del risparmio non calcolato.

Si tratterebbe, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, di un provvedimento importante, che andrebbe a sostenere una politica, quella del risparmio famigliare, decisamente meritoria.

Inoltre si potrebbe in questo modo ovviare al problema degli sfratti, che oggi, a causa dell’opinabilissimo parametro Icef fissato a 0,34, vengono imposti anche a nuclei famigliari bisognosi. Gli esempi da citare, a questo proposito, sarebbero tantissimi, ma per ragioni di spazio occorre limitarsi a ribadire la necessità di una revisione di un parametro, quello dello 0,34, decisamente anacronistico e penalizzante.


Ciò premesso il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento impegna la Giunta a:

  1. raddoppiare la franchigia per il calcolo dell’Icef per l’alloggio Itea, oggi fissata da 20 mila euro, rendendola di 40 mila euro;
  2. fissare a 65 mila euro la franchigia per le famiglie con almeno un componente invalido al 75%;
  3. istituire un gruppo di analisi che si impegni, su un piano più generale, a valutare l’idoneità del parametro Icef, ad oggi fissato a 0,34;
  4. sospendere temporaneamente gli sfratti ordinati sulla base di riscontri poco superiori all’attuale valore del parametro Icef;

Mozione Ru 486

CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO



Gruppo Consiliare Il Popolo della Libertà

Trento, 31/7/2009



Al Presidente del Consiglio Provinciale

Giovanni Kessler

SEDE


Proposta di mozione

”R.U.486: urge fare chiarezza sulle sue conseguenze ed intanto sospenderne con urgenza l’utilizzo”

E così, l’Agenzia Italiana del Farmaco (A.I.F.A.) ha autorizzato la commercializzazione in Italia della R.U. 486, la pillola abortiva. La notizia era nell’aria da qualche giorno, ma sino all’ultimo si sperava in un ripensamento, che purtroppo non c’è stato. A questo punto, assume ancora maggiore rilevanza l’iniziativa dello scorso 19 giugno ad opera del Ministero del Welfare italiano, concretizzatasi nella stesura di un dossier sulla R.U.486, fatto recapitare all’A.I.F.A., iniziativa che le istituzioni regionali e provinciali non possono ignorare.

Infatti l’azienda produttrice del farmaco, la francese Exelgyn, a dispetto della cifra ufficiale, ferma a 16 decessi, ha comunicato all’A.I.F.A., che le morti per R.U.486 sono in realtà 29.

Essa, come è noto, è in fase di uso e sperimentazione anche in Trentino.

La morte è peraltro solo la più grave di tutta una serie di conseguenze imputabili all’uso della R.U.486.

Infatti, come denunciarono già nel lontano 1991 Janice G. Raymond, Renate Klein e Lynette J. Dumble, tre femministe dichiaratamente abortiste, la RU486 – sorvolando sul fatto che si tratta comunque di una pillola che sopprime il nascituro – implica pesantissime ripercussioni sulla salute delle donne, così riassumibili: dolore o crampi nel 93,2% dei casi, nausea nel 66,6%, debolezza nel 54,7%, cefalea nel 46,2%, vertigini nel 44,2% e perdite di sangue prolungate fino a richiedere una trasfusione nello 0,16% dei casi.

Donna Harrison, ricercatrice e ginecologa di Berrien Center, in Michigan, insieme ad una collega, ha pubblicato su The Annals of Pharmacotherapy uno studio nel quale ha identificato ben 637 casi di effetti collaterali nell’uso della R.U.486.

Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration, dopo aver rappresentato più volte l’intendimento di ritirare la R.U.486 dal commercio, in seguito alla morte di una ragazza di diciassette anni che vi aveva fatto ricorso, ha contrassegnato la pillola con una banda nera, quella che viene riservata ai farmaci pericolosi per la vita.

La pericolosità di detta pillola è stata riscontrata persino in un Paese come la Cina, notoriamente non rispettoso dei diritti umani. Nell’ottobre 2001 è stata disposta un’inversione di rotta rispetto all’iniziale liberalizzazione, inversione di rotta consistente nel divieto di venderla in farmacia e di assumerla solamente in ospedali selezionati e sotto stretto controllo medico.

Addirittura, nel dicembre 2005, un editoriale del New England Journal of Medicine, “bibbia” mondiale della scienza, denunciava una percentuale di mortalità con il metodo chimico, quello della R.U.486, ben 10 volte più alta di quella rilevata con il metodo chirurgico.

Persino Severino Antinori, indiscusso guru della fecondazione, ha pubblicamente ammesso che la R.U.486 “provoca dolori, emorragie, infezioni, malattie. Con esiti mortali”.

Dinnanzi a simili constatazioni non si può non riconoscere come la R.U.486 rappresenti un vero e proprio pericolo.

Per cercare di smentirlo, non più tardi di qualche mese fa qualche organo di informazione locale divulgò servizi nei quali si attestavano, per il Trentino, centinaia di sperimentazioni andate a buon fine, senza alcuna delle gravi ripercussioni che la R.U.486 spesso implica. In realtà, non vennero resi noti nei dettagli l’entità e il grado di rappresentatività di questo campione.

In un documento elaborato dalla Società Medico Scientifica Interdisciplinare Promed Galileo e sottoscritto anche dall’European Medical Association, si denuncia proprio “la bassa qualità degli studi, spesso caratterizzati per l’assenza di randomizzazione e la contraddittorietà dei risultati, che rendono difficoltosa l’interpretazione dell’accettabilità del metodo”.

D’altro lato, c’è chi ritiene – trascurando i dati della letteratura scientifica – che il ricorso all’aborto chimico rappresenti un progresso e si appella alla sua diffusione in Europa per invocarne l’adozione in Italia.

Dal canto suo, il Sottosegretario al Welfare, on.le Roccella, sottolinea come la pillola R.U.486 rappresenti un metodo che “intrinsecamente porta la donna ad abortire a domicilio proprio perché il momento dell’espulsione non è prevedibile, in una sorta di clandestinità legale”.

Aspetto di non secondaria rilevanza concerne, poi, il fatto che il ricorso alla R.U.486, come ha evidenziato pure la Roccella, determini violazione della legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza. Essa infatti, all’art. 8, sancisce espressamente la necessità che l’aborto procurato si consumi all’interno di strutture pubbliche, mentre una donna che assume la pillola abortiva – che produce i propri effetti, culminanti con l’espulsione del feto, entro un arco di tempo che talvolta giunge a due settimane – non viene trattenuta in ospedale fino al momento in cui è certificata l’interruzione di gravidanza, ma vi ritorna solamente dopo, per eseguire dei controlli.

Ciò è in violazione di due pareri del Consiglio superiore di sanità: uno del 2004, alla cui stregua “i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti all’interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero”; l’altro del 2005, per il quale “l’associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere trattenuta fino ad aborto avvenuto”.

Né vanno sottaciuti gli interessi economici che soggiacciono alla diffusione della R.U.486, destinati a foraggiare le aziende produttrici della stessa.

Sarebbe interessante che questi temi così delicati e utili chi difende la R.U.486 lo facesse a viso aperto, argomentando le proprie ragioni, non già trincerandosi dietro a slogan oramai superati.

Anche perché, sul piano culturale, il rischio forte è la privatizzazione dell’aborto: la donna abortirà da sola. Difatti i protocolli contemplano che solo dopo 14 giorni si provvederà ad un controllo.

Ciò premesso il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento impegna la Giunta:

  1. a verificare quante donne, in Trentino, hanno fatto ricorso alla R.U.486 a partire dalla sua sperimentazione e della successiva diffusione disposta dall’Azienda Italiana per il Farmaco (A.I.F.A.);
  2. a garantire, nei confronti delle donne che chiedono l’interruzione di gravidanza sia farmacologica che chirurgica, il c.d. consenso informato;
  3. a disporre la sospensione dell’utilizzo della R.U.486 in attesa che si faccia chiarezza sulle controindicazioni della stessa, anche alla stregua dell’esperienza di altri Paesi.


Mozione per Chico Forti

CONSIGLIO REGIONALE DEL TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL


Trento, 23/7/2009

Al Presidente del Consiglio regionale

Marco Depaoli

SEDE

Proposta di mozione

“Enrico Forti è innocente, aiutiamolo”

Dopo appena venticinque giorni di processo sommario, il 15 giugno del 2000, Enrico Forti, imprenditore trentino recatosi all’estero per ragioni di lavoro, venne condannato per omicidio.

L’intera vicenda ha dell’incredibile: costui, secondo la giuria popolare della Dade Country di Miami, sarebbe il mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di Antony Pike, conoscente di Forti a quel tempo in gravi difficoltà economica.

Per comprendere l’inconsistenza delle accuse mosse a Forti, non occorre scendere nei particolari e basta rammentare, com’è stato ampiamente provato, che l’intero contatto tra Forti e Dale Pike è durato appena mezz’ora, che i due non si erano mai incontrati e che l’imprenditore trentino non aveva alcuna ragione per vendicarsi col padre del ragazzo, che, anzi, avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, vale a dire il 18 febbraio, a New York.

Inoltre - a parte il fatto che non è mai stata trovata l’arma del delitto, che nessuno ha mai provato in alcun modo il contatto tra l’assassino di Pike, tutt’ora senza nome, e Forti - ulteriore prova dell’innocenza dell’imprenditore trentino è riscontrabile nel fatto che costui, convocato come persona informata dei fatti poco dopo l’omicidio, si recò spontaneamente e senza avvocato al dipartimento di polizia. Comportamento assai singolare, per un potenziale mandante d’omicidio.

A questo si aggiunga la totale assenza a suo carico, escluse quelle “circostanziali”, la cui inconsistenza è denunciata dallo stesso vocabolo, che rimanda a circostanze, coincidenza, ma certo non a certezze o a fatti.

L’assenza di prove a carico di Forti fu tale che il pubblico ministero locale, Reid Rubin, impiegò ben ventotto mesi per predisporre la sua arringa finale, un vero e proprio record, tipico di chi è costretto a costruire un impianto accusatorio sulle sabbie mobili.

Paradosso finale dell’intera vicenda, fu che la parola finale, al processo, venne concessa proprio al pubblico ministero Rubin, che fu pertanto libero di avanzare la più strampalata delle teorie, consapevole del fatto che né Forti, né il suo avvocato avrebbero potuto opporre replica alcuna.

Questo l’incredibile pronunciamento, dopo appena poche ore di ritiro, della Corte:

La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”.

Non fosse vero, questo terribile responso sarebbe perfetto sulle labbra di un comico televisivo: come può, in totale assenza di prove, bastare una “sensazione” che pur essendo tale appare, non si capisce come, fondata “al di là di ogni dubbio”, al punto di condannare, senza appello, una persona al carcere a vita?

L’intera vicenda, con ogni evidenza, ha dell’incredibile.

Ragion per cui le istituzioni del Trentino – Alto Adige, regione da cui Forti proviene, non possono prolungare la propria indifferenza davanti alla grave condanna comminata senza prova alcuna a un proprio concittadino, e debbono invece sollecitare il Governo Italiano a prendere quanto prima provvedimenti in difesa di un innocente incarcerato a vita.


Ciò premesso il Consiglio regionale della Regione Autonoma Trentino- Alto Adige/Südtirol impegna il Presidente del Consiglio e l’Ufficio di Presidenza

ad adoperarsi, unitamente al Presidente della Giunta, presso le competenti Istituzioni nazionali – Capo dello Stato e Presidente del Consiglio – affinché possa essere chiesta alle Autorità statunitensi quantomeno una revisione del processo che ha visto l’assurda condanna dell’imprenditore trentino Enrico Forti.