venerdì 4 settembre 2009

RISPOSTA A RASPADORI

Mi pare doveroso in un certo qual senso “deludere” Raspadori, rammentandogli che fra i quattro fessacchiotti che rappresentano quello sparuto drappello che ancora crede nel matrimonio, rientra pure il sottoscritto. Temo non sia molto rilevante nella costruzione, magari anche un po’ realista (purtroppo) epperò arbitraria, che il nostro ha elevato per l’occasione, nei confronti di quell’istituto.

Insomma, assieme a Gubert, ed a qualcun altro, sarei tra i pochi ad opporsi all’orda inarrestabile che Raspadori vede come l’ineluttabile destino che ci attende.

Meglio, che già è vigente.

Sul fatto se poi ciò sia bene o male, a quanto pare, egli non prende posizione, seppur pare di cogliere che tutto questo movimento sociologico-antropologico non gli dispiaccia poi molto. Mi siano consentite alcune osservazioni.

Innanzitutto, credo che l’autore, più o meno coscientemente, passi da un piano di quieta descrizione della realtà ad un piano “prescrittivo”, ossia che mira a vedere come cogente e vincolante lo stato di cose che maggioritariamente va affermandosi.

In buona sostanza, poiché, a suo dire, la gran maggioranza preferirebbe soluzioni diverse dal matrimonio, si prenda atto che è così e ci si adegui di conseguenza. Vorrei far presente che l’anello debole di questa situazione sono normalmente i figli. Ad essi primariamente i legislatori debbono guardare, non certo discriminando i figli nati fuori dal matrimonio da quelli nati al suo interno, ma pensando via generale (come legislatori) quale sia il tipo di legame che da maggiore stabilità affettiva e relazionale alla prole.

Credo che lo svanire del matrimonio “classico” vada inteso in maniera assai diversa dal come lo intende il mio virtuale interlocutore. A mio avviso, rappresenta un preoccupante fenomeno di disgregazione della società che non penso comporti molti esiti positivi. Sui figli, innanzitutto.

Ritengo che la famiglia sia, razionalmente prima ancora che giuridicamente e/o fideisticamente, da concepire come il fulcro della società. Per le ovvie funzioni sociali che essa svolge ma anche come luogo della piena realizzazione e compenetrazione degli sposi, in una stabilità non opportunistica o effimera. E credo che quest’aspirazione non sia sottaciuta, anzi, tutt’altro, in questo frangente storico. Come non può certo dirsi smentita da affermazioni che facciano leva sulla “fatica” o sul sacrificio che i nostri nonni possono giustamente raccontarci.

Innanzitutto si riferiscono ad una mentalità molto diversa. In secondo luogo, non riesco a concepire un’esperienza umana che non contempli al suo interno pure del sacrificio. Insomma, tutti più o meno qualche sofferenza la incontriamo. Ed anche profonda. Sia chiaro, non sto certo lodando il dolore, bensì affermando, se si vuole, una banalità, ossia…che tutti più o meno si soffre.

Ritengo siano sopratutto cause culturali, per sviscerare le quali non basterebbero enciclopedie, che contribuiscono alle male fortune del matrimonio. Ma che vi siano pure delle circostanze di cui la politica troppo raramente si fa carico.

Sorvolando sul fatto che, se due si sposano o stanno assieme in altro modo, una qualche pretesa di stabilità l’avranno, a differenza di quanto previsto da Raspadori, credo che spesso questa società disintegri i propositi matrimoniali per ragioni assai concrete.

I giovani faticano a trovare un lavoro stabile e, spesso per raggiungere livelli retributivi che consentano una vita dignitosa, devono passare anni, se non decenni. Le banche non facilitano il desiderio di una casa con i loro requisiti strettissimi per accendere i mutui, sovente contrassegnati da tassi molto molto alti. Il mondo del lavoro poi pretende moltissimo tempo, il che, se sommato alla necessità di godere degli introiti di due stipendi (altrimenti a fine mese non ci si arriva), inizia a delineare un quadretto sociale tutt’altro che roseo. Del quale la politica spesso si disinteressa bellamente.

E’ ovvio allora che, stando così le cose, pochi pensino di affrontare una scelta matrimoniale.

Meraviglia che Raspadori abbia sostanzialmente ignorato tutto questo, per andare a sfrugugliare nei divorzi o in altre tristi vicende, che non intendo certo giudicare.

La politica ha sicuramente le sue responsabilità.

Deve licenziare provvedimenti concreti, da cui emerga una concezione dell’istituto matrimoniale e, prima ancora, della persona umana, come centro di diritti da promuovere e rispettare, e non una visione strumentale, sia essa al servizio di un marito – padrone o di una società malata di frenesia produttiva.

Ma anche coloro che cercano di fare cultura, come Raspadori, hanno le proprie responsabilità. Ai giovani va trasmessa la concreta speranza, comprovata dai fatti e dall’esperienza di tante coppie, che è davvero possibile un amore duraturo, profondo, pulito, che resista alla prova dei decenni: perché è più grande ciò che unisce di ciò che divide; perché amarsi davvero dice il “per sempre” come sua intima essenza; perché accettarsi reciprocamente nei propri limiti e volersi bene nonostante questi, evidenzia la realtà, e cioè che nessuno brilla di perfezione.

Pino Morandini

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