venerdì 16 maggio 2008

ABORTO: Margherita, un voto contro la Vita Umana

Trento, 18 maggio 2006

ABORTO: MARGHERITA, UN VOTO CONTRO LA VITA UMANA

1. - Premessa Lasciato decantare un po’ il clima di polemiche che ha accompagnato la discussione in Consiglio del disegno di legge 136 (“Informazione sulle alternative all’aborto”), sento il dovere sia di replicare (pacatamente) alle accuse sia di riportare i fatti nel loro reale accadimento sia di evidenziare brevemente le vere motivazioni del disegno di legge, non senza aver valutato le ragioni di chi vi ha votato contro e le gravi conseguenze che derivano da quel voto.

Lo faccio con tutta la pacatezza e la serenità possibili, considerata la grandezza del tema in discussione.

2. - Le accuse E’ stato affermato (Viganò) che con quella proposta di legge si sono fatti ricomparire steccati; addirittura che la si sarebbe presa a pretesto “per stabilire chi è più cattolico” e chi sarebbe “il vero difensore della vita e chi no” (Amistadi). Coloro che hanno seguito davvero il dibattito hanno potuto direttamente sentire dall’articolata illustrazione del disegno di legge le vere ed uniche motivazioni dello stesso: aiutare le donne in difficoltà ad accogliere la vita, “non contro, ma insieme alla madre”, nella consapevolezza che le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà.

3. - Le ragioni del disegno di legge – Esse nascono unicamente a carico di quei bambini e di quelle madri e dallo specifico contributo che può offrire l’esperienza trentennale del volontariato su questo tema. Essa documenta che, grazie a quel volontariato, sono nati in Italia settantacinquemila bambini ed altrettante madri hanno ritrovato la speranza e la gioia di vivere e i Centri di Aiuto alla Vita registrano un’alta percentuale di successo documentato (superiore al 75%) a fronte di quella purtroppo esigua (5%) riportata dai soggetti pubblici: Consultori, servizi sociali, giudice tutelare, ecc., come ha dichiarato il rappresentante dell’Istituto Superiore di Sanità alla Commissione Parlamentare d’indagine sull’attuazione della legge 194/1978.

Il tutto non con il metodo del colloquio burocratico, ma con quello dell’amicizia. Non con quello del lavaggio del cervello, ma con un perdurante aiuto concreto. Tantopiù se si pensa che, se è vero che le difficoltà economiche sono le cause più frequenti di spinta all’aborto, la causa alla fine più forte e comune a quasi tutte le donne è la solitudine. Quando la propensione verso l’aborto è superata, la donna manifesta nel 100% dei casi sentimenti di gratitudine verso le persone che l’hanno aiutata. Viceversa il volontariato per la vita conosce bene il rammarico, talvolta l’angoscia delle donne che hanno fatto ricorso all’aborto.

Il disegno di legge andava unicamente in questa direzione: consentire, nel rispetto della decisione della donna e della sua riservatezza, che la donna venisse adeguatamente informata circa i suoi diritti di lavoratrice e di madre, le possibili alternative all’aborto, l’esistenza del volontariato disposto ad aiutarla e, se lo riteneva e nella garanzia della privacy, ad incontrarla. Il tutto in piena attuazione delle conclusioni della citata Commissione parlamentare d’indagine (votate dal Parlamento), che ha ritenuto “auspicabile sia una nuova normativa che preveda incentivi per agevolare le forme di collaborazione sempre maggiori fra i consultori e le associazioni di volontariato, sia, come suggerito dal rappresentante delle regioni, l’elaborazione, da parte delle singole aziende sanitarie, di protocolli di collaborazione con le organizzazioni di volontariato”.

4. - I fatti (in Commissione e in Consiglio) Il dibattito che ne è seguito ha visto, nonostante i toni talvolta accesi, la mia disponibilità – fino all’ultimo come la documentazione comprova – a cercare una mediazione. Sia in Commissione dove, pur di addivenire ad un accordo, avevo dato la disponibilità perfino a non prevedere l’eventuale presenza di volontari nei consultori; sia in Consiglio, proponendo un emendamento che gli operatori pubblici almeno informassero la donna circa l’esistenza delle associazioni di volontariato legalmente riconosciute che hanno come fine l’aiuto alle donne in difficoltà per una gravidanza difficile o indesiderata; e potessero chiedere l’intervento di quelle associazioni, “ai fini dell’aiuto alla gestante, qualora vi sia la richiesta della stessa e nel rispetto della sua riservatezza”.

Come risposta, ho avuto il diniego su tutto questo e la proposta di ritirare il mio disegno di legge a fronte di una mozione che lo sostituisse in termini più ampi. Ho acceduto in altre circostanze a simili proposte (v. mio d.d.l. sui trapianti). Ma qui, a mio avviso, era moralmente non consentito. Preliminarmente facevo notare come vi siano varie mozioni, che a suo tempo ho presentato e sono state approvate dal Consiglio, che impegnavano la Giunta agli adempimenti di cui sopra (fra l’altro rientranti nella prevenzione di cui agli artt. 2 e 5 legge 194/1978): tutte attuate dalla Giunta (cito, per restare solo alle ultime due legislature, la mozione n. 8 del 2004 ed una, di cui non ricordo il numero, approvata nel 2000). E’ evidente che, a fronte di queste responsabili omissioni (senza le quali sarebbero state salvate diverse vite umane), lo strumento della mozione si è rivelato debole ed inefficace. Ci vuole la legge. Per questo ho presentato il disegno di legge. Perché la Giunta adempia, attraverso le proprie strutture (consultori, reparti ospedalieri, servizi sociali, ecc.) ad un proprio dovere inderogabile: quello di proteggere la vita dei nascituri e di aiutare le loro madri, con la tecnica del conseuling, naturalmente rispettando la dignità e la riservatezza della donna e quindi, inevitabilmente, la sua libertà.

Che si tratti di un “dovere” delle Istituzioni, lo ha sancito la Corte costituzionale (sent. 37/1995, estensore Vassalli), affermando che il diritto alla vita del concepito fin dalla fecondazione deve essere protetto specialmente a cura degli enti locali e che la funzione dei consultori e dei colloqui previsti dalla legge 194 è quella di proteggere tale diritto alla vita.

Anche per questo (oltreché per il motivo che esporrò di seguito) non potevo accettare l’o.d.g. (che è poi una mozione) della Margherita, in cui si afferma la tesi radicale della “neutralità” delle Istituzioni rispetto al dramma dell’aborto.

5. - L’o.d.g. della Margherita Nonostante ciò la Margherita ha ritenuto di mantenere il proprio o.d.g., nella considerazione che esso, affrontando la questione in termini più ampi, fosse più esaustivo. A nulla è valso far presente che:

a) che l’o.d.g. ha la stessa portata della mozione, quindi la natura di mero atto amministrativo, destinato, vista la fine delle succitate mozioni, a restare sulla carta: le garanzie di sua attuazione che stavolta il Presidente della Giunta si è affrettato a dare si commentano da sole; vien da chiedersi perché analoghe garanzie non ha rilasciato per l’applicazione delle mozioni della minoranza, pure esse approvate dal Consiglio;

b) che l’o.d.g. in parola non può condividersi sia per l’inaccettabile “neutralità” sopra ricordata sia perché è temporalmente rinviato nel tempo (fine anno) in uno dei punti più significativi (l’informazione).

c) che quindi l’o.d.g. avrebbe dispiegato i suoi effetti a lungo termine ed invece il d.d.l. da subito (le pochissime settimane della sua entrata in vigore), con il concreto risultato di operare immediatamente i suoi benefici effetti: aiutare immediatamente le madri e proteggere i loro figli, come le statistiche sopra riportate evidenziano inconfutabilmente.

Ho perfino proposto sia in Consiglio che per iscritto di ritirare la mia firma in capo al d.d.l. per lasciare la paternità a chiunque, a partire dalla Margherita, nella convinzione che questo tema non sia di monopolio di nessuno. Ma senza esito.

6. Le conseguenze Sono, a mio avviso, assai gravi le responsabilità in gioco. Infatti, bocciando il d.d.l. si è impedito l’immediato e concreto aiuto a molte gestanti in difficoltà e quindi da subito la nascita di tanti bambini, con la gioia di tutti, a partire dalle loro madri e con un’inestimabile ricchezza umana per l’intera comunità.

L’approvazione del d.d.l. non escludeva, anzi apriva la strada a tutti i provvedimenti legislativi che si fosse inteso aggiungere sul tema.

La sua bocciatura, di fatto non fondata su motivazioni consistenti ma solo su cause politico-partitiche, fornisce un esempio tutt’altro che edificante alla nostra gente.

7. “Rilanciare” la vita. Un d.d.l. di iniziativa popolare

Ciò nonostante, qualche risultato è stato raggiunto:

§ la maggioranza si è sentita costretta a formulare una propria proposta sul tema, presentando il citato o.d.g.;

§ il Presidente della Giunta si è dovuto scomodare, assicurando per iscritto (cosa mai avvenuta sinora, come ho sopra rilevato) l’attivarsi dell’ente pubblico in materia, sia pure non da subito;

§ nei consultori pubblici, nei servizi sociali, nei reparti ospedalieri, vi sarà presubilmente maggiore attenzione alle gestanti in difficoltà ad al diritto a vivere dei loro figli; in proposito vigileremo;

§ si è parlato di questo grave problema, certo con coscienza da parte di ciascuno; e su nessun altro tema, come su questo, l’esperienza comprova che spesso il solo parlarne può salvare la vita (ho anche svariate esperienze personali in proposito).

Conclusivamente, per il bene di tutti, dobbiamo “rilanciare” la vita.

Per parte nostra, come immediata iniziativa, annuncio che ripresenteremo la proposta bocciata come disegno di legge di iniziativa popolare, chiamando in tal modo la gente ad esprimersi su questo e a rendersi protagonista su un tema così delicato.

Cons. Pino Morandini

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