venerdì 16 maggio 2008

Replica a Cristelli sulla l.194/78

Trento, 15 gennaio 2008

Non condivido per nulla le riflessioni di Vittorio Cristelli in merito alla moratoria sull’aborto. La 194, è noto, è una legge dello stato il quale offre il suo personale e le sue strutture come servizio pubblico, e quindi con i soldi di tutti i cittadini, per non accogliere i suoi figli più piccoli e non aiutare le loro madri in difficoltà. Il diritto alla vita, prima elementare manifestazione dell’eguale dignità di ogni essere umano, è la ragione costitutiva degli stati moderni. E la moderna cultura dei diritti umani esige che vi sia un principio elementare e fondamentale di giustizia che sta sopra gli stati e giudica gli stati e le leggi: il riconoscimento che ogni essere umano è un fine e non un mezzo, un soggetto e non un oggetto.

Discutere della legge sull’aborto vuol dire quindi verificare se essa è coerente con questo principio. Da quel confronto la 194 esce malconcia, non solo perché non è applicata nella parte preventiva, ma soprattutto per l’oscuramento del figlio. Se, com’è pacificamente acquisito dalla scienza da decenni, i soggetti della gravidanza sono fin dal concepimento due – la madre e il figlio – è proprio l’emarginazione del figlio che impedisce un’attuazione favorevole all’accoglienza della vita. In particolare, la 194 dice di tutelare la vita umana fin “dal suo inizio”, ma non precisa quell’inizio nel concepimento (un emendamento che andava in tal senso fu bocciato perché ritenuto superfluo!). Annoto che Polonia e Spagna hanno un’identica legge sull’aborto, con l’unica sostanziale differenza che la prima afferma la tutela della vita “fin dal concepimento”. I risultati sono abissali: in Polonia, poco più di 350 aborti all’anno; in Spagna più di 180.000! Perché l’affermazione di quel principio, oltre a difendere il diritto del figlio, induce reale solidarietà alla madre.

Uno dei due soggetti, quindi, il figlio, è discriminato dalle disposizioni della 194. Per poterla applicare nel senso favorevole alla nascita, vanno eliminate le ambiguità affermando il diritto alla vita del figlio non nato. Ciò non significa ricacciare la donna nella clandestinità o nella galera. Anzi. Rinunciare alla minaccia penale deve però significare la volontà delle istituzioni di aiutare la donna scommettendo sulla sua capacità, se tolta dalla solitudine e sorretta dalla solidarietà, di farsi garante della vita del piccolissimo figlio che ha cominciato ad esistere in lei.

Quanto, infine, all’affermazione per la quale la legge avrebbe diminuito gli aborti, mi limito a considerare, per ragioni di spazio, che se essi si sono stabilizzati tra i 130 e i 135 mila all’anno (più di 1.300 ogni anno nella sola provincia di Trento!), i dati non tengono conto: dell’ancora persistente e non quantificabile aborto clandestino e dell’abortività chimica e farmacologica dovuta alle varie pillole (R.U. 486 e “pillola del giorno dopo”). Inoltre, se diminuizione vi è stata, essa è dovuta non alla 194, bensì al formarsi di una vasta sensibilità cui hanno contribuito in modo determinante il messaggio della chiesa e quello dell’associazionismo laicale, al cui interno il lavoro del Movimento per la vita e dei Centri di Aiuto alla Vita – con 85 mila bambini aiutati a nascere ed altrettante madri sostenute nel ritrovare una speranza – ha svolto un ruolo decisivo.

Il tutto deve essere accompagnato da adeguate politiche a sostegno della famiglia.

Pino Morandini

Nessun commento: