20 marzo 2007
IN ORDINE ALLE DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE DELLAI
SUGLI AMBITI TERRITORIALI COMUNITA' DI VALLE
Come temuto (e ampliamente previsto) la riforma istituzionale è entrata in crisi fin dal suo primo passaggio applicativo: quello della definizione degli ambiti territoriali delle comunità. Non tanto perchè si sono sforati (non di poco) i termini stabiliti dalla legge, quanto piuttosto perchè sono affiorate (e la stampa locale di questi ultime settimane lo ha messo ben in evidenza) tutte contraddizioni - più o meno latenti - di una riforma che doveva essere - in tutta evidenza - diversamente pensata, approvata e diretta nelle sue fasi applicative.
La scelta cui si è pervenuti alla fine della scorsa settimana, mi sembra un compromesso molto deludente e raffazzonato, una soluzione abborracciata in extremis, con la soluzione (un sondaggio farsa) che non si capisce bene che valore possa avere. Una soluzione che sembra solo un compromesso per mettere a tacere dissidi e beghe politiche, e che ha poco a che vedere con una seria consultazione popolare, e che depotenzia in modo evidente uno strumento di partecipazione. Si è detto che è una soluzione bizantina ma non stupida: a me sembra una falsa soluzione, perchè di fatto rinvia i problemi, priva come è di criteri preventivi per valutare i risultati, problemi che molto probabilmente si faranno risentire (vedrete che sentiremo parlare ancora di quorum) quando si tratterà di pesare i risultati del voto, in un contesto privo di regole, e dove le parti in causa - contrapposte - rispolvereranno le loro obiezioni e controobiezioni, le loro tesi e controtesi. E rinascerà la bagarre.
Il difetto sta ovviamente all'origine: nella scelta - che a suo tempo abbiamo criticato fortemente - di spogliare il consiglio provinciale della potere di definire, esso direttamente e in legge, la configurazione territoriale delle comunità. Quella scelta, introdotta in corso di approvazione della riforma, è stata - alla prova dei fatti - una scelta sbagliata, giuridicamente e politicamente.
Giuridicamente, perchè il Consiglio provinciale non doveva essere espropriato di una competenza che doveva assolutamente mantenere in capo a sé, cioè quella a definire con legge gli ambiti territoriali. Posto che le comunità sono veri e propri enti locali che verranno ad integrare a pieno titolo il sistema del decentramento amministrativo provinciale, anche i loro territori dovevano essere stabiliti con legge e non con atto amministrativo, sia per ragioni di certezza (che solo un provvedimento legislativo può dare), che di garanzia e difendibilità (perché un atto amministrativo è suscettibile di una serie di impugnative davanti al giudice competente che in tal modo lo espongono a possibili esiti, anche negativi).
Politicamente, perchè non è parso assolutamente corretto che per sciogliere alcuni nodi di strategia politica, che già all'epoca si erano manifestati all'interno della maggioranza, si sia ricorso a delegificare una materia; rimettendola una scelta strategica ad una fonte secondaria e tutta sotto la regia della Giunta. E quel che è successo credo che ci dia ragione di questa critica.
Oggi il presidente Dellai dice che tutto si è ormai chiarito e definito, che non c'è più timore di crisi in giunta, e che ora le comunità possono metter mano serenamente alla loro organizzazione. Credo purtroppo che non sia così. Oltre all'ambiguità della soluzione, persistono infatti (e sono note e riportate sulla stampa locale) prese di posizione contrarie o molto critiche. Inoltre tutta la vicenda ha fatto affiorare problemi più ampi, di strategia complessiva sul significato e sulla filosofia stessa della riforma istituzionale, del suo processo di attuazione e dei suoi sviluppi. E non è un discorso sollevato solo da forze di minoranza, ma anche da rappresentanti importanti della maggioranza.
Per questo sarebbe opportuno riflettere ulteriormente sull'accaduto, sulle soluzioni prospettate per questo problema contingente (ma strategico) degli ambiti, sui possibili sviluppi e miglioramenti dei processi di riforma. ed anche su possibili integrazioni o modifiche legislative, utili a far proseguire in modo corretto il processo di riforma. Ma tutto questo non lo si può fare attraverso un dibattito veloce come quello odierno, bensì con i passaggi procedurali e politici del caso. Cioè riportando sì il discorso in Consiglio provinciale, ma con tempi adeguati e dando modo a ciascun componente di poter dire la propria, considerato che ci si trova di fronte ad una riforma fondamentale del nostro assetto istituzionale e quindi della nostra autonomia.
Cons. Pino Morandini
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