venerdì 16 maggio 2008

ancora, a margine del referendum

Trento, 28 settembre 2007



“A MARGINE DEL REFERENDUM”

Magari non era nell’intento dei promotori, eppure il referendum contro le scuole paritarie e gli istituti di formazione professionale ha di fatto innescato nella pubblica opinione un contrasto tra la scuola statale (o provinciale) o paritaria, che non ha ragion d’essere. Infatti, la compresenza sul territorio di diverse proposte di scuole e quindi di diversi progetti educativi risulta di arricchimento per il sistema scolastico trentino ed è quindi un’ulteriore garanzia di democrazia e di progresso che rispetta specialmente il diritto di scelta delle famiglie; si tratta di un diritto che nessuno è autorizzato a togliere o cancellare.

Se, come ha sentenziato fin dagli anni ‘90 il Consiglio di Stato (v. ad es. una famosa sentenza della V Sezione proprio nel 1990), la caratteristica del servizio non dipende dal soggetto che lo eroga (sia esso pubblico o privato), ma dalla natura oggettiva del servizio stesso, che è pubblico quando è aperto a tutti, come nel caso delle scuole paritarie; se la legge 62/2000 enuncia chiaramente la configurazione del sistema nazionale di istruzione come costituito da scuole statali e da scuole paritarie; allora la priorità non mi pare essere quella di mettere le une contro le altre, bensì quella di vedere come superare le difficoltà che esse incontrano.

Per quanto attiene alla scuola statale, non essendoci lo spazio, mi riservo in una successiva riflessione, se ne avrò l’ospitalità, di intervenire a breve.

Rilevo in questa sede un problema che si trascina da anni e che ho portato spesso all’attenzione politica senza grandi esiti: quello dello “status” dei docenti delle scuole paritarie. Essi sono discriminati a partire dall’attribuzione a loro, confermata dalla Giunta provinciale, di un punteggio inferiore rispetto ai Colleghi delle scuole statali (o provinciali). Siffatta diversa attribuzione, secondo la Giunta, starebbe nella “diversità oggettiva” tra le due diverse tipologie di docenti.

In realtà quella “diversità oggettiva” non pare configurarsi, se si pensa che i docenti delle scuole paritarie:

1. hanno effettuato il concorso statale, riservato e/o ordinario;

2. sono in possesso di tutti i titoli all’insegnamento;

3. si prestano a proporre con passione un progetto educativo cristiano, con dedizione, sacrificio e senza limiti di tempo;

4. svolgono dette funzioni con competenza e convinzione, indipendentemente dal fatto che lo stipendio sia inferiore rispetto a quello dei colleghi delle scuole statali (o provinciali);

5. hanno spesso disagi nello spostamento, e quindi non sono docenti che insegnano come taluno ha detto, “sotto casa”;

6. non sempre le supplenze presso le scuole paritarie sono annuali, ma esse si effettuano anche per periodi assai più brevi;

7. i docenti delle scuole paritarie sono spesso sostenuti nel loro cammino di apprendimento della didattica “sul campo”; sovente si inseriscono nelle scuole provinciali con un sostanzioso bagaglio di esperienza e di preparazione; non è forse questo un vantaggio per le scuole provinciali? Perché non si riconosce il ruolo di supporto che le scuole paritarie svolgono in questo senso?;

8. é possibile avere la parità di contributo per i docenti degli alunni diversamente abili? Perché alle scuole paritarie solo un contributo parziale e non pieno, nonostante la summenzionata enunciazione “paritaria” contenuta nella legge 10/03/2000, n. 62?

Mi sembrano discriminazioni tra lavoratori dello stesso comparto (scuola) su cui i sindacati tacciono. Perché?

Due ultime considerazioni a suffragio della mia contrarietà al referendum contro le scuole paritarie:

a) il fatto che le famiglie richiedano diffusamente la scuola paritaria per i propri figli, talvolta mutando scuola anche in corso d’anno, non è segno che individuano in essa un ambiente particolarmente adatto alla loro crescita armonica, magari accanto ad altre motivazioni?

b) se vogliamo davvero “essere europei”, come spesso si sente affermare, perché non si garantisce una parità anche finanziaria alle scuole paritarie, come accade nel resto d’Europa? Se così avvenisse, in quelle scuole si potrebbero accogliere pure alunni e studenti extracomunitari, che oggi spesso non sono in grado di sostenere il relativo onere economico a causa della mancata parità finanziaria.

Cons. Pino Morandini

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