venerdì 16 maggio 2008

Risposta a Lunelli sul "Family Day"

Trento, 10 maggio 2007

Al collega Lunelli


“SUL FAMILY DAY”

Mi fa davvero piacere leggere che, nell’approssimarsi del “Family day”, vi sia la rincorsa di esponenti politici nel dichiarare la propria partecipazione ed adesione al messaggio ed al significato di quella giornata.

Lo affermo sinceramente, ben lungi dal processo alle intenzioni a cui s’è lasciato andare taluno commentando qualche partecipazione. Lo affermo, peraltro, anche un po’ stupito. Non dal fatto della decisione di partecipare – che, lo ripeto, mi rallegra, specie perché sintomatica di una condivisione dei valori in gioco – ma dai concreti comportamenti politici cui ho assistito anche recentemente nelle nostre locali Assemblee legislative.

Mi riferisco in particolare al Collega Lunelli, di cui leggo la riflessione sulla famiglia e sulla prossima manifestazione in piazza S. Giovanni.

E nel mentre gli rinnovo i sensi del mio profondo rispetto, non posso esimermi dal porgergli alcune domande, con l’unica richiesta di schiarirmi un poco gli orizzonti che quella sua riflessione, probabilmente per mia incapacità, ha contribuito non poco ad offuscare.

Parto dal fatto. In una recente seduta del Consiglio regionale, con il voto determinante della Margherita, di cui Lunelli è Capogruppo e Segretario, è stata bocciata una mia mozione sfavorevole al disegno di legge governativo sui DICO. Perché siffatta bocciatura se il mio interlocutore afferma che “il valore della famiglia non può essere messo in discussione da nessuno”?

Presumo che il Collega conosca quanto negativamente inciderà sul valore della famiglia la proposta DICO, una volta approvata. La sua funzione più profonda, infatti, è riconducibile, riducendo ad unità il contenuto dei singoli articoli, a due principi ispiratori: 1) le relazioni sessuali, quali ne siano la natura e gli effetti, rivestono interesse pubblico; è la relazione affettiva, caratterizzata sessualmente, il bene meritevole di pubblica protezione: infatti, assicurare diritti a due persone dello stesso sesso per il fatto che hanno tra loro una relazione sessuale continuativa, sebbene strutturalmente non possano concorrere al succedersi delle generazioni, significa considerare di pubblico interesse la soddisfazione degli individui; 2) la relazione sessuale, anche se accompagnata da convivenza ed affetto, ha valore nel suo esistere provvisorio (infatti, la situazione “DICO” può essere fatta cessare in ogni momento, unilateralmente, senza nemmeno la necessità di qualche elemento formale).

Così, mentre il matrimonio può essere sciolto con il divorzio – istituto che, per quanto discutibile, segnala l’esistenza di un impegno di stabilità, l’interesse pubblico al permanere dell’unione ed il carattere eccezionale del suo scioglimento – nel “DICO” la normalità è la possibilità (quotidiana) del ripudio.

Condivido con Lunelli che “credere nella famiglia vuol dire aiutare la famiglia”. Debbo dedurre, avendo fatto bocciare l’anzidetta mozione, che consideri innocua la legislazione “DICO” nei confronti della famiglia. Penso lui sappia che la spinta verso quella legislazione viene quasi esclusivamente dagli omosessuali (infatti, un uomo ed una donna hanno a disposizione della loro libertà sia il matrimonio che la convivenza di fatto). Premesso che a quelle persone è dovuto il rispetto che spetta a ciascuno, non sarebbe forse il caso di interrogarsi sul perché la spinta viene proprio da loro? Cerco di rispondere. L’articolo 1 parla di “persone anche dello stesso sesso, unite anche da reciproci vincoli affettivi”. A parte che non sono discriminate dai “DICO” le relazioni affettive senza sesso (quali quelle motivate da comuni ideali, come ad esempio le case famiglia, ecc.), che spesso toccano l’interesse pubblico ben più di quelle caratterizzate da una relazione sessuale. Il rilievo riconosciuto alla coppia omosessuale dimostra che il pubblico interesse è ravvisato specificamente nella relazione sessuale in quanto tale.

Qual è dunque oggettivamente lo scopo dei “DICO” – tenendo presente che la gran parte dei suoi articoli si rivelano inutili, in quanto contengono possibilità già consentite dal diritto vigente – se non quello di un manifesto ideologico, teso a proclamare i due principii summenzionati più che a dare risposta a problemi concreti? E ciò in contrasto con il reale bene comune e con la Costituzione. Perché se la famiglia è “fondamento della società e dello Stato” (art. 16 Dich. Univ. diritti dell’uomo) e se il matrimonio è “fondamento della famiglia” (art. 29 Cost.), la proclamazione con forza di legge come valore pubblico della convivenza omosessuale, fa immaginare effetti non certo positivi in una società, soprattutto giovanile, che avrebbe bisogno per strette esigenze civili (non religiose!) di una concezione seria ed impegnativa della famiglia e del matrimonio.

Quanto, infine, al richiamato principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) – ferma restando la pari dignità di ogni persona ed i diritti che le spettano come singola – non le pare che quel principio proprio dai “DICO” viene violato allorquando questi elevano a pubblico interesse, riconoscendole giuridicamente, relazioni tra persone, anche dello stesso sesso ed anche se caratterizzate solo sessualmente, anche se provvisorie, in tal modo discriminando gli uomini e le donne che si sono assunti reciprocamente pubbliche responsabilità attraverso il matrimonio, facendo famiglia, spesso contribuendo al propagarsi delle generazioni? Perché voler riconoscere parità di diritti – analoghi a quelli di chi si è assunto più responsabilità con il matrimonio – a chi ha liberamente scelto, decidendo liberamente di non sposarsi, di non sottostare ai relativi doveri? Perché sminuire il matrimonio riconoscendo un “matrimonio a metà”, come i “DICO” intendono fare?

Per queste ragioni considero atto di forte ingiustizia quello di chi, affermando di credere nella famiglia, vota contro proposte che, senza intenti ideologici, mettono in guardia da iniziative, come i “DICO”, non certo amiche della famiglia stessa.

Cons. Pino Morandini

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