Sembra infatti che, a dispetto della cifra ufficiale, ferma a 16 decessi, siano addirittura 29, nel mondo, le donne morte in seguito all’assunzione della RU486, da tempo in fase di uso e sperimentazione anche in Trentino.
Ma la morte è solo la più grave di tutta una serie di conseguenze imputabili all’uso della RU486.
Infatti, come denunciarono già nel lontano 1991 Janice G. Raymond, Renate Klein e Lynette J. Dumble, tre femministe dichiaratamente abortiste, la RU486 – sorvolando sul fatto che si tratta comunque di una pillola che sopprime il nascituro – implica pesantissime ripercussioni sulla salute delle donne, così riassumibili: dolore o crampi nel 93,2% dei casi, nausea nel 66,6%, debolezza nel 54,7%, cefalea nel 46,2%, vertigini nel 44,2% e perdite di sangue prolungate fino a richiedere una trasfusione nello 0,16% dei casi.
Donna Harrison, ricercatrice e ginecologa di Berrien Center, in Michigan, insieme ad una collega, ha pubblicato su The Annals of Pharmacotherapy uno studio nel quale ha identificato ben 637 casi di effetti collaterali nell’uso della RU486.
La pericolosità di detta pillola è stata riscontrata persino in un Paese come la Cina, notoriamente non rispettoso dei diritti umani. Nell’ottobre 2001 è stata disposta un’inversione di rotta rispetto all’iniziale liberalizzazione, inversione di rotta consistente nel divieto di venderla in farmacia e di assumerla solamente in ospedali selezionati e sotto stretto controllo medico.
Addirittura, nel dicembre 2005, un editoriale del New England Journal of Medicine, “bibbia” mondiale della scienza, denunciava una percentuale di mortalità con il metodo chimico, quello della RU486, ben 10 volte più alta di quella rilevata con il metodo chirurgico.
Persino Severino Antinori, indiscusso guru della fecondazione certo non tacciabile di oscurantismo, ha pubblicamente ammesso che la RU486 “provoca dolori, emorragie, infezioni, malattie. Con esiti mortali”.
Dinnanzi a simili constatazioni non si può non riconoscere come la RU486 rappresenti un vero e proprio pericolo.
Per cercare di smentirlo, non più tardi di qualche mese fa qualche organo di informazione locale divulgò servizi nei quali si attestavano, per il Trentino, centinaia di sperimentazioni andate a buon fine, senza alcuna delle gravi ripercussioni che la RU486 spesso implica.
Il punto è che non vennero resi noti nei dettagli l’entità e il grado di rappresentatività di questo campione.
In un documento elaborato dalla Società Medico Scientifica Interdisciplinare Promed Galileo e sottoscritto anche dall’European Medical Association, quasi a frenare i facili entusiasmi di chi minimizza le conseguenze della RU486, si denuncia proprio “la bassa qualità degli studi, spesso caratterizzati per l’assenza di randomizzazione e la contraddittorietà dei risultati, che rendono difficoltosa l’interpretazione dell’accettabilità del metodo”.
Aspetto di non secondaria rilevanza, infine, concerne il fatto che il ricorso alla RU486 determina violazione della legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Infatti, la legge 194 sancisce espressamente la necessità che l’aborto procurato si consumi all’interno di strutture pubbliche, mentre una donna che assume la pillola abortiva - che produce i propri effetti, culminanti con l’espulsione del feto, entro un arco di tempo che talvolta giunge a due settimane - non viene però trattenuta in ospedale fino al momento in cui è certificata l’interruzione di gravidanza, ma vi ritorna solamente dopo, per eseguire dei controlli.
Sarebbe interessante che su questo punto, come su tutti i precedenti richiamati, chi difende la RU486 lo facesse a viso aperto, argomentando le proprie ragioni, non già trincerandosi dietro a slogan oramai superati.
Tutto ciò premesso si interroga l’Assessore competente per sapere:
- a quante donne, in totale, è stata somministrata la RU486 all’interno della provincia di Trento;
- l’età media di queste persone;
- se non reputa, alla luce degli elementi ricordati in premessa, che si tratti di una pillola avente fin troppe controindicazioni, comportando rischi per la salute della donna fino a 10 volte superiori rispetto a quelli dell’aborto chirurgico;
- come valuta la mancata osservanza della Legge 194/78, che si riscontra con la somministrazione della RU486 senza che la donna intenzionata ad abortire venga trattenuta in ospedale fino alla certificazione dell’avvenuta espulsione del feto.
- se non considera violata la citata l. 194/78 anche nel suo principio ispiratore – quello di socializzare il dramma dell’aborto affinché la donna non si trovi sola in quella situazione – atteso che la diffusione e l’utilizzo della RU486 ricacciano la donna nella solitudine, a decidere da sola del rapporto tra lei e suo figlio;
- se non reputa opportuno, dinnanzi all’iniziativa del Ministero del welfare dello scorso 19 giugno, chiedere, per il Trentino, una temporanea sospensione dell’utilizzo e della somministrazione della pillola abortiva in attesa che venga fatta luce sui quasi trenta decessi che potrebbero essere riconducibili ad essa.
A norma di regolamento si chiede risposta scritta.
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