giovedì 27 agosto 2009

Proposta di mozione n. 17 “Questione mediorientale: l’importanza di aiutare le vittime della guerra, a prescindere dalle bandiere”

La guerra a Gaza sta sconvolgendo la vita non solo di coloro che vi abitano, ma di tutti noi. Non è facile prendere una posizione dinanzi ai fatti di cui siamo spettatori, perché le voci e le ragioni sono tante e discordi.

Non nascondiamo di nutrire una certa fiducia nell’operato della diplomazia vaticana, che ha il pregio di non dover prendere parte per nessuno, per partito preso, e nello stesso tempo di conoscere piuttosto bene i fatti, avendo in Terra Santa fedeli, vescovi, religiosi, opere di carità, scuole ecc…

Sin dalla origine di Israele la Santa Sede ha sollevato il problema dei profughi palestinesi, spiegando che la sua risoluzione era prioritaria per la pace.

Mentre l’Onu si limitava a proclamare il diritto dei palestinesi ad uno stato, senza fare nulla di concreto per realizzarlo, la Santa Sede tentò con varie opere di carità, e con alcuni documenti, a firma di Pio XII, di richiamare l’attenzione del mondo sul dramma di centinaia di migliaia di profughi, destinati a rivelarsi col tempo una bomba ad orologeria.

E’ storia il fatto che proprio la lungimirante presa di posizione di Pio XII, non contro qualcuno, ma a favore dei palestinesi, scatenò contro di lui polemiche infondate sul suo presunto antisemitismo, e riletture faziose della posizione vaticana contro il nazismo (troppo debole, dissero i polemisti, dimenticando che i papi avevano scritto ben due encicliche contro il regime di Hitler e che la Chiesa aveva subito anch’essa gravi repressioni nella Germania di quegli anni).

Dopo tanti e tanti anni il problema dei profughi palestinesi ha generato prima la guerra col Libano, poi le varie Intifade, ed infine, oggi, la recente guerra a Gaza. Il Vaticano è convinto che non ci troviamo affatto dinnanzi ad uno scontro tra religioni: qui, il problema è la terra, l’acqua, la sopravvivenza, la disoccupazione, come ha dichiarato recentemente tra le righe il Cardinal Martino in una intervista al quotidiano on line Il Sussidiario.

Per questo il Vaticano stesso riconosce Israele, ma secondo i confini precedenti al 1967, non secondo quelli attuali, e ha sempre lottato per fare di Gerusalemme non una città “di parte”, ma una città a statuto internazionale, perché non divenisse motivo di scontro, come invece avviene, tra ebrei e palestinesi. Oggi è innegabile che da una parte vi siano i fanatici islamismi di Hamas, pronti ad ogni orrore, in nome dell’ideologia, e dall’altra le continue violazioni di Israele dei diritti palestinesi, tramite la costruzione di sempre nuove colonie e l’occupazione di terre altrui.

Su Avvenire del 21 giugno 2007, a dimostrazione che la situazione a Gaza era già al limite della sopravvivenza, Mons. Twal, patriarca cattolico di Gerusalemme, richiesto se ci fosse “il rischio di una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza”, rispondeva: «Spero che i responsabili politici abbiano cuore, testa e dignità per evitare un simile scenario. Ci sono tanti modi per condizionare un gruppo di potere con cui non si va d'accordo (Hams, nda), ma quello di affamare la popolazione che vi è sottoposta non conduce da nessuna parte se non all'esasperazione».

Non è difficile capire che là dove regnano ingiustizie e miseria, più facilmente crescono meglio i germi dell’intolleranza e del fanatismo.

La posizione della Chiesa è dunque piuttosto chiara, non in nome di un astratto pacifismo, che non è né credibile né giusto, ma in nome del realismo: Israele non può salvaguardare il suo diritto all’esistenza dimenticando quello dei palestinesi, né può pensare di risolvere ogni problema con la forza delle armi. Per questo penso sia giusto riconoscere la bontà dell’analisi proposta a suo tempo da padre S.K. Samir, un famoso gesuita egiziano molto ascoltato in curia vaticana riguardo ai problemi del Medio oriente, non certo tenero verso l’islamismo radicale: “La guerra non ha mai prodotto frutti duraturi.

L’estremismo non si combatte con la guerra, men che meno il presunto “terrorismo”.

Tutti i politici riconoscono che occorre “andare alle radici del problema”, il quale risale a più di 50 anni fa. Bisogna necessariamente affrontarlo.Hezbollah, che ha usurpato all’esercito libanese la funzione di difendere la patria, non è la radice del problema: non esisteva neppure quando Israele ha invaso il Libano nel 1982 per attaccare i palestinesi che vi si trovavano. Neppure l’attentato contro Israele ai giochi olimpici di Monaco nel 1972, che ha dato inizio al terrorismo nella regione, è la radice del problema.

Neppure gli attacchi continui di Israele contro la terra dei palestinesi e contro i paesi vicini sono la radice del problema”.

La radice è, dunque, nell’aver ignorato per tanti anni l’esigenza di uno stato palestinese.

Politicamente non si vedono uomini in grado di grandi imprese, ma come cristiani, da qui, da lontano, possiamo almeno aiutare le organizzazioni umanitarie e pregare perché israeliani e palestinesi abbiano finalmente un loro stato ciascuno, pacifico e sicuro: è questo, sicuramente, il desiderio della gran parte di loro.

Ciò premesso il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento impegna la Giunta a:


  1. Sollecitare politicamente e non solo, qualora fosse raggiunta, il mantenimento di tregua duratura fra Israele e lo Stato Palestinese;
  2. Prestare aiuto concreto alle strutture assistenziali che vivono i conflitti di questi giorni in prima linea, a partire dal Baby Hospital di Betlemme;
  3. Sostenere ogni iniziativa di volontariato tesa a soccorrere le sempre più numerose vittime di questo interminabile conflitto;
  4. Promuovere una conoscenza reciproca tra le popolazioni israeliane e palestinesi, in modo da favorire la crescita di generazioni di giovani votati sempre alla pace e giammai al conflitto

Impegna altresì la Giunta provinciale a relazionare al Consiglio sulle iniziative intraprese o in essere entro il mese di giungo 2009.

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