Trento, 11 ottobre 2005
"UN GRIDO NEL SILENZIO"
(Sul neonato trovato morto nelle acque del lago di S. Cristoforo)
Chiunque, procedendo dalla pianura di Nordest, giunga a Bassano e di là poi s’inoltri ancora, a sfidare le aspre montagne che, come cordigliera cingeranno i lati del suo cammino, giungerà, prima o poi ad un placido borgo. Sorto come un premio dopo tanta fatica montana, tale agglomerato umano s’acquatta sulle rive d’un ridente lago, meta di turisti e vacanzieri, internazionali e non. Luogo, pochi giorni orsono, d’un disperato gesto di donna.
Un gesto a prevenire il quale non si sprecarono slogan televisivi a confine con l’invettiva populistica. Un gesto non più usato, dai corrieri del politically correct, come cavallo di battaglia per loro moralismi…una violazione dei diritti umani che lor signori preferiscono tumulare sotto compiacente silenzio.
Si sa, i palinsesti rigurgitano ormai di triti e ritriti slogan (condivisibili e doverosi, peraltro) contro la caccia, l’abbandono degli animali domestici, ed altre varie amenità. Ma nulla s’è udito ultimamente nei grandi circuiti mediatici per prevenire le violazioni di ciò che i soloni dell’ecologismo più spietato additano spesso come mero incidente della storia, ossia la vita degli esseri umani.
Fu in tale contesto che un uomo o una donna, circospetti ed impauriti, qualche notte fa s’avvicinarono alle sponde del ridente laghetto di cui sopra , lasciandovi cadere un fardello, inghiottito ben presto dalle acque. In quel pesante fagotto, oltre ad una pesante pietra, giaceva un esanime cadavere. Cadavere di neonato.
All’indomani del ritrovamento dello stesso gran parte della stampa locale si dannava a stracciarsi le vesti, a perdersi in pianti da prefica ed a sputar buonismo sulla tragicità del vero.
Su tutto codesto, insopportabile, bailamme, credo che possiamo formulare talune considerazioni, dettate, se ci è permesso, solo da uno sguardo d’amore per la vita.
Innanzitutto, v’è da sottolineare che nell’atroce dolore di una madre, nessuno ha diritto d’ingerirsi. E che dunque certe forme di malcelata ed impietosa condanna comparse sulla stampa si rivelano null’altro che un indice levato ad un occasionale capro espiatorio.
In secondo luogo, ove stanno le cause profonde (magari solo irrazionalmente affacciatesi, si badi bene), di tale condotta omicida? Nel dolore, nello smarrimento, nell’inadeguatezza rispetto all’inaspettato dono d’una vita, certo.
Ma non solamente.
Causa principe è una cultura, che qui mostra il proprio vero volto, crollando al contempo su se stessa. Una mentalità edonistica ed individualistica di spregio della natalità, della maternità, in definitiva della vita, vista come evento tra un concepimento ed una morte naturale (e non come mero istante transitorio, incidentale). Un’ideologia che pone a “tutela” della donna un’interpretazione anti-costituzionale ( nonché confliggente con i principi ermeneutici del sistema penale, ma non solo…) della l. 194/78.
E a questo punto si ferma, non uscendo dal proprio impasse logico col tentare almeno di sostenere altri rimedi realmente a tutela di tutti i soggetti attori della situazione di gravidanza. Anzi. Coloro che tali rimedi propugnano, sono spesso sottoposti alla derisione o al dileggio. O, peggio, al silenzio. Un atteggiamento mentale mortifero che offre solo la soppressione come “tutela” dell’inviolabile diritto all’esistenza. Una cultura statualistica che vede lo Stato ergersi a forgiare i diritti dei cittadini, in contrapposizione con l’insegnamento del reale liberalismo (si dia una scorsa al pensiero di John Locke, ad esempio…), che individua invece lo Stato come mero soggetto posto a tutela ed attuazione di tali diritti, trovando esso stesso in tale precipua funzione la propria ratio essendi.
E’ dunque in palese contrasto con tale concezione democratica, che si viola l’intangibilità dell’uomo, ci si dimentica di promuovere o di far conoscere o di attuare leggi o parti di leggi dello Stato che potrebbero aiutare l’accoglienza della vita nascente – come, ad esempio, la disposizione legislativa che consente alla partoriente di non riconoscere il neonato oppure le norme “preventive” contenute nelle l. 194/78 – ed al contempo ci si straccia le vesti per l’ennesima vittima di questa cultura di morte.
È in definitiva questa cultura che va combattuta, non certo le sue incolpevoli vittime. “Urge una grande mobilitazione delle coscienze per costruire una nuova cultura della vita…” (dall’”Evangelium Vitae” di Giovanni Paolo II). È questo il grido silenzioso che proviene dal corpicino offeso del neonato trovato già cadavere, nonché di milioni di suoi consimili morti nel nome della legge. E tale grido, volto in proposta, attività e solidarietà reale, nonché in efficace lavoro culturale, potrà porre finalmente nel ridicolo quella cultura che nega la vita.
Pino Morandini
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