venerdì 16 maggio 2008

Il Primato della Vita (Lettera a "Vita Trentina", 30 gennaio 2006)

Trento, 30 gennaio 2006

Secondo molti sembra che il motore della civiltà siano la tecnica e la scienza, non l’amore per la vita. E così, se può servire al “progresso” scientifico, si accetta di manipolare l’essere umano, talvolta fino al punto di distruggerlo, specie nel periodo più giovane della sua esistenza. In tal modo, l’uomo non è più fine dell’universo, ma strumento, o per il successo o per il benessere di altri.

Eppure, quando si grida contro la bomba atomica o contro le armi ovvero contro la manipolazione tecnologica della natura animale o vegetale, lo si fa proclamando come il rispetto della vita umana venga prima della scienza e della tecnica: queste debbono essere per l’uomo, non contro l’uomo. Perché allora simile proclamazione non dovrebbe effettuarsi anche quando è in gioco il più piccolo ed il più povero (perché non ha nient’altro che la sua dignità) tra gli esseri umani nella prima fase della sua esistenza?

Perché non si può affermare il primato della vita anche verso le leggi, lo Stato, la democrazia, la politica? Se lo Stato ha come suo fine, se intende essere democratico, la promozione e la difesa dell’eguale dignità di ogni essere umano; se la legge rappresenta la regola posta nella società per garantire e promuovere quella dignità; se la democrazia è l’espressione del principio d’eguaglianza, prima che metodo per formare la maggioranza; se la politica è mezzo per perseguire il bene comune di tutti e di ciascuno e non stratagemmi del potere per il potere; allora è il valore della vita umana che “giudica” le leggi, lo Stato, la democrazia, la politica; e quindi la difesa della vita va collocata tra le priorità dell’intera società.

Soprattutto da come si considera la creatura che nel grembo materno aspetta di essere pronta a nascere e l’essere umano nella sua fase terminale, dipende l’idea stessa di uomo e di umanità. La domanda che già Davide (mille anni prima di Cristo) o Pilato (duemila anni fa) ponevano: “Chi è l’uomo?”, si pone oggi in modo sostanziale di fronte alla pretesa dell’uomo di essere egli stesso il proprio autore, con il conseguente diritto di decidere chi debba vivere e chi debba morire.

Ecco la questione: per la nuova antropologia, l’uomo è ritenuto un “dato” disponibile di conoscenza e di potere, utilizzabile spesso come un oggetto. “La questione antropologica – ha affermato il card. Ruini – ha come primo risvolto la trasformazione e ridefinizione, in Europa e in tutto l’Occidente, dei modelli di vita, dei comportamenti diffusi e dei valori di riferimento, in altre parole del giudizio di cosa è bene o male; e anche delle scelte politiche e legislative e della stessa giurisprudenza”.

Ecco perché l’appello a sostenere la donna in difficoltà e a far sì che ogni vita appena sbocciata arrivi al suo compimento naturale e sia accolta e accompagnata anche nella sua fase terminale, chiama l’intera comunità ad un impegno collettivo e solidale. Alla cultura dell’individualismo (faccio ciò che mi è utile, con il solo limite di non danneggiare gli altri) va proposta in alternativa la cultura della vita.

Pino Morandini

Vicepresidente MpV nazionale

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